giovedì 10 settembre 2015

Subbuteo, ultima ancora del razzismo europeo, ma non ditelo alla Boldrini...

In questi tempi bui la parola 'razzista' è diventata come una Colt ai tempi del Far West, pronta a essere utilizzata, rapida e veloce, per condannare il nemico di turno. Un po' come accadeva per il vocabolo 'fascista' negli anni '70, compagno di cordata di intimidazioni e violenze che costringevano chi non si allineava alla 'monocultura' di sinistra a prendere posizioni defilate, non chiare, raramente espresse.
Piuttosto che passare per fascista, un nomignolo che autorizzava a qualsiasi violenza, presunta o tentata, nei confronti di chi non si adeguava alle varie manifestazioni, occupazioni, discese in piazza per Fausto, Iaio e compagnia cantante, si preferiva restare nell'ombra, magari ascoltando Lucio Battisti o i Kraftwerk, un po' come i patrioti italiani del XIX secolo scrivevano sui muri 'Viva Verdi' per contestare l'Austria matrigna, esaltando così l'autore di tanti trionfi della musica nazionale (ma anche esprimendo l'acronimo per Vittorio Emanuele Re D'Italia).
In questo 'post' il termine sarà invece utilizzato con estrema leggerezza: perché il Subbuteo non si tocca. A prescindere. Eppure è proprio il Subbuteo, meraviglioso ed eterno gioco anglosassone 'per grandi' con il calcio protagonista, ma in miniatura e perfetta riproduzione in 3D, a mantenere una sorta di anacronistico 'razzismo' nelle sue produzioni.
L'augurio è che la 'presidenta' Laura Boldrini non ci legga, perché altrimenti potrebbe seriamente prendere in considerazione l'idea di bloccarne la produzione. Eppure, le meravigliose squadre che, secondo la nota di produzione del passato (forse una leggenda?) dovrebbero essere tutte dipinte a mano, lasciano di stucco: non ci sono stranieri, secondo un criterio di difesa del territorio e dei vivai che molte federazioni dovrebbero riprendere in considerazione.
Nessun giocatore di colore nelle squadre europee, ma undici omini dalla pelle pallida, come in un film di Leni Riefenstahl, un bianco e nero del passato, con i capelli impomatati e avvolti nella retina.
Anche le squadre del presente rimangono intatte, 'razzialmente parlando', né stranieri né mulatti. Persino il Milan 1988/89 (le squadre oggi in commercio, vendute attraverso la Gazzetta dello Sport, vengono anche associate a un preciso periodo storico), che aveva in Ruud Gullit e Frank Rijkard, entrambi olandesi 'colored', due perni della propria squadra, appare composto solo da 'bianchi'. I due 'tulipani' dimenticati in panchina, come forse mai o raramente è successo.
Insomma, un curioso paradosso da parte della produzione che, evidentemente per risparmiare su colori e tempi di realizzazione, ha prodotto un solo 'omino monorazza'. Anche perché, a ragionarci, ci potrebbero essere casi in cui il risultato rischierebbe di essere totalmente opposto, con undici giocatori 'colorati' di scuro, come potrebbe succedere ai tempi nostri nel campionato belga oppure olandese, dove gli 'importati' costituiscono forse la maggioranza rispetto ai giocatori 'autoctoni'.
Di contro, rimane un mistero 'razziale' il perché le squadre sudamericane siano composte da undici giocatori di colore: e se per il Brasile, squadra che nella storia tutti hanno sempre identificato con la figura di Pelé, genio messianico dalla pelle scurissima, non si capisce come questo possa invece capitare per l'Argentina, dove non si ricordano giocatori 'scuri' né tanto meno 'indios', come magari è successo per Cile, Perù, Ecuador o Bolivia.
Insomma, un guazzabuglio di colori che però, in questo caso, esatto opposto alla realtà, viene mantenuto ben distinto. Il nord del mondo, Europa e Nord America, rimane totalmente 'bianco', il sud (Africa e Sud America, con l'eccezione delle anglosassoni Australia e Nuova Zelanda) completamente 'nero'.

E allora? Allora va bene lo stesso. La fobia dell'antirazzismo a tutti i costi sta diventando una sorta di paranoia da salotto buono. Del resto, il calcio 'a punta di dito', come lo sport, del resto, piace a ogni latitudine, e il bello è che ognuno può metterci la propria mano, colorando la propria squadra del cuore come meglio crede, in barba a moralizzatori e procuratori di bassa... lega.