martedì 30 giugno 2020

La 34.a Milano-Taranto sarà un'edizione virtuale

La partenza della Milano-Taranto 2019 (foto Bordignon)
Non si svolgerà sulle splendide strade che uniscono i luoghi più belli d'Italia, ma la Milano-Taranto, maratona per moto d’epoca giunta alla sua 34.a edizione, prenderà comunque il via.
Quella di quest'anno sarà un'edizione 'virtuale', con un numero di iscritti illimitato e ben 202 località toccate. L’edizione 2020 della storica maratona si sposterà su Facebook, senza però perdere il legame con il territorio e il gusto di scoprire, o di fare scoprire, posti nuovi. Allo stesso tempo partecipare è possibile davvero per tutti e semplice come mai prima d’ora.
Dalla mezzanotte del 4 luglio e fino a domenica 12 luglio prossimi, chi vorrà prendere parte all'ormai storico evento motoristico, dovrà raggiungere una o più delle località previste - ovviamente rispettando le norme di restrizione in vigore nella propria regione - e fare avere all'organizzazione una foto, un video o un selfie. Fondamentale sarà indicare dove la foto sia stata scattata. Chi inoltre indosserà una delle t-shirt delle precedenti edizioni, avrà più chance di essere inserito nella clip finale che verrà realizzata per celebrare l’evento.
Anche quest'anno la partenza, virtuale, sarà fissata a Milano, mentre l'arrivo sarà come al solito Taranto, dopo una serie di stop che interesserà quasi tutti i luoghi che hanno ospitato la manifestazione negli scorsi 33 anni: un 'serpentone' che lega simbolicamente Nord e Sud, Est e Ovest e ovviamente il Centro Italia, per un itinerario lungo più di 7000 chilometri.
Un’iniziativa che simboleggia la voglia di ripartire insieme e che è pensata, ancora una volta, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle città e dei territori d’Italia e di valorizzarne le bellezze.

La locandina della Milano-Taranto 'virtuale' 2020

Dalla Camera Arbitrale di Milano misure straordinarie per la mediazione

Una delle pagine online della Camera Arbitrale di Milano
Un pacchetto di iniziative straordinarie - in materia di arbitrato, arbitraggio e mediazione civile e commerciale - è la novità messa in campo dalla Camera Arbitrale di Milano, società interamente partecipata dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi.
L’obiettivo è rispondere a due centrali e attuali esigenze del mercato e del sistema Paese: da un lato, aiutare le imprese e i consumatori italiani e stranieri coinvolti in una controversia nata dagli effetti negativi del COVID-19 e, dall’altro, dare una mano al buon funzionamento del 'sistema giustizia'. In particolare, le misure in vigore dall'1 luglio prevedono riduzioni alle spese di avvio dei procedimenti di mediazione, accesso agevolato ai servizi, un nuovo procedimento arbitrale semplificato, che dimezza i tempi e riduce i costi rispetto al procedimento ordinario. Infine, si rilancia l’arbitraggio come soluzione ideale per ridefinire elementi essenziali del contratto diventati incerti post Covid.
Il Coronavirus ha infatti lasciato strascichi a livello economico e conseguenze sul piano giuridico, alterando gli equilibri tra le parti di un contratto, creando difficoltà e rallentamento nei pagamenti, e modificando i bisogni e le posizioni dei contraenti. In sostanza, il Covid-19 ha determinato un aumento nella domanda di servizi di giustizia di circa il 25% - secondo le stime della Camera Arbitrale di Milano - che ha risposto con un insieme di misure che agevolano l’accesso ai servizi di giustizia alternativa e complementare alla giustizia ordinaria.
“Il Covid-19 – ha dichiarato Stefano Azzali, direttore generale della Camera Arbitrale di Milano – è piombato nelle nostre vite e nella nostra economia con una forza dirompente imprevista ed eccezionale, e come tale ha comportato conseguenze negative che si sono riversate nell’ambito della conflittualità e del contenzioso. A fronte di un’evidente esigenza di certezza e tutela del diritto e di un aumento di circa il 25% delle controversie causate dal Covid secondo le nostre stime, con senso di responsabilità abbiamo deciso di rispondere alla domanda di risoluzione delle controversie con misure altrettanto straordinarie ed eccezionali. Abbiamo reso i servizi di mediazione e arbitrato – ha continuato -  più accessibili dal punto di vista economico, abbiamo semplificato le procedure arbitrali per garantire una più rapida, più snella risoluzione dei conflitti a vantaggio di chi oggi è in difficoltà maggiore rispetto al passato. Gli strumenti ADR (arbitrato e mediazione) possono davvero rappresentare la via più utile per risolvere le controversie figlie della crisi scatenata dall’epidemia e possono contribuire al funzionamento del Sistema Giustizia nel suo complesso, leva fondamentale per un ripresa economica a tutti gli effetti”.

30 RSA chiedono la riapertura dei colloqui con gli anziani

I rappresentanti di circa trenta Residenze Sanitarie Assistenziali italiane aderenti a Felicita, Associazione per i diritti nelle RSA, hanno chiesto con urgenza di affrontare a livello nazionale il tema della mancata o inadeguata apertura dei colloqui.
E’ quanto emerso dal primo incontro convocato a Milano lo scorso 27 giugno per condividere linee comuni di azione nell’ambito della difesa legale e civile degli anziani e dei loro parenti, da cui è emerso come la gran parte delle RSA, abbia scelto di prolungare il blocco degli incontri o limitarne fortemente l’accesso con regole restrittive.
In una lettera al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, dottor Mauro Palma,  si sottolinea: "Gli 88.571 attuali ospiti delle Rsa italiane, persone fragili e in gran parte non autosufficienti, sono da oltre tre mesi isolate dai loro familiari da misure di restrizione e costrizione che stanno mettendo seriamente a rischio l'esigibilità dei diritti fondamentali, quali il diritto alle relazioni, alla socialità e all’affettività. Combattere la solitudine degli anziani - tanto più nei casi di soggetti che non possono mantenere una normale vita di relazione senza l’aiuto determinante di altri - dovrebbe essere un dovere e una
preoccupazione primaria da parte di strutture che hanno il compito di assicurarne la salute fisica e psicologica come diritto inviolabile dell’individuo, riconosciuto dall’articolo 32 della nostra Costituzione. Dopo i danni dovuti alla mancata protezione, all’inosservanza delle regole di sicurezza, all’esclusione dalle cure ospedaliere, ora gli anziani delle RSA subiscono il danno di una prolungata esclusione dalla vita e dal possibile ritorno alla normalità. Anziché favorire le visite di conforto secondo criteri di cautela nel buonsenso, alle strutture viene lasciata facoltà di valutare caso per caso, fino a limitare gli ingressi solo in casi improcrastinabili".
“Il tema del prolungato isolamento è molto serio” – ha sottolineato Alessandro Azzoni, presidente di Felicita. “Molti anziani, da quasi quattro mesi lontani dalla visita dei propri cari, hanno mostrato forti segni di decadimento fisico e cognitivo, faticano a riconoscere il proprio parente e in alcuni casi rifiutano alimentazione e cure. Non assumere come prioritario il bisogno di socialità degli anziani, non solo va in direzione contraria al rispetto del fondamentale diritto alla salute, garantito dalla Costituzione, ma non tiene conto del diritto alla partecipazione alla vita affettiva e sociale determinato dalla Convenzione delle Nazioni Unite delle persone disabili e non autosufficienti”.

domenica 28 giugno 2020

Enoch Powell, il grande preconizzatore dell'invasione afroasiatica

Enoch Powell
In questi tempi dove il caos regna in una Europa sempre meno europea e sempre più arabizzata, secondo la tangibile teoria dell'Eurabia, coniata dalla scrittrice ebrea Gisèle Littman e poi ripresa e potenziata nel pensiero e nelle opere di Oriana Fallaci.
Prima di loro, la previsione di un futuro macabro in seguito all'invasione dei popoli afroasiatici, fu il grande uomo politico inglese Enoch Powell, già studioso di lettere antiche, a cinque anni in grado di leggere il greco antico e professore della medesima lingua a venticinque.
Fu lui l'autore del grande discorso poi chiamato dei "fiumi di sangue" ("Rivers of Blood Speech") pronunciato il 20 aprile 1968 al Midland Hotel di Birmingham, durante una riunione del Conservative Political Centre. In quell'occasione Powell preconizzò per la Gran Bretagna un futuro di problemi razziali e rivolte urbane simili a quelle che stavano avvenendo negli Stati Uniti dalla metà degli anni '60.
Powell affermò, fra le altre cose: "We must be mad, literally mad, as a nation to be permitting the annual inflow of some 50000 dependents, who are for the most part the material of the future growth of the immigrant descended population. It is like watching a nation busily engaged in heaping up its own funeral pyre. So insane are we that we actually permit unmarried persons to immigrate for the purpose of founding a family with spouses and fiancées whom they have never seen".
A causa di questo discorso controverso, Edward Heath, esponente del Partito Conservatore, lo rimosse dal partito. Ciononostante, un sondaggio effettuato in seguito alla sua orazione rivelò che il 74% della popolazione britannica concordava con le opinioni di Powell.
Nel 1976 Eric Clapton, durante un suo concerto a Birmingham, ebbe parole di approvazione per Powell, asserendo che la Gran Bretagna stava diventando "sovraffollata" e avrebbe corso il rischio di diventare una "colonia dei neri".





Sarah Greene e Dominique McElligott, sexy poliziotte in "The Guard"

Sarah Greene e Dominique McElligott
Sinead Mulligan (Sarah Greene) e Aoife O’Carroll (Dominique McElligott) sono le due sensualissime escort provenienti da Dublino che il sergente Gerry Boyle (Brendan Gleeson) assolda in una scena del film irlandese "The Guard" (terrificante titolo italiano, "Un poliziotto da happy hour"), con un cast eccelso, che vede, oltre ai tre sopracitati, Don Cheadle, Mark Strong, Liam Cunningham e Fionnula Flanagan.
Per Sarah una presenza importante in "Penny Dreadful", ma soprattutto in "Vikings", in cui interpreta la principessa inglese Judith, mentre per Dominique vale la pena citare una presenza ricorrente in "House of Cards".
Nel film le due ragazze si vestono da poliziotte sexy per tenere compagnia intima a Gleeson, per un incontro ad alto contenuto erotico. Non potevo esimermi, in questa lunga notte televisiva, dal non citarle e ricordarle con un post.




Gran Bretagna, ancora sangue: sudanese tenta strage

Non sarà stato un terrorista dichiarato come il libico che ha massacrato a colpi di coltello tre persone nel bosco di Reading, ma è un cosiddetto 'profugo' anche lui, l'autore dell'assalto al Park Inn Radisson Hotel di Glasgow, albergo dove sono ospitati solo ed esclusivamente 'profughi'.
Fortunatamente ucciso dai poliziotti accorsi, il 28enne Badreddin Abadlla Adam, sudanese, ha prima però fatto in tempo a ferire gravemente un agente, e altre cinque persone, di età compresa tra i 17 ed i 53 anni.
Secondo la rete televisiva Sky News, l'uomo avrebbe mostrato segni di instabilità mentale poco prima di colpire. Il richiedente asilo, che era arrivato nel Regno Unito sei mesi fa, si era lamentato delle condizioni di vita all'interno del pur lussuoso hotel, tanto che i compagni di stanza, suoi connazionali, avevano espresso preoccupazione per le sue condizioni psichiche allo staff dell'albergo proprio la notte prima dell'attacco.

venerdì 26 giugno 2020

Liverpool campione di un'Inghilterra senza più inglesi

Kenny Dalglish, 'straniero' dei 'reds' nel 1989: ma era scozzese
Il Liverpool rivince il campionato inglese trent'anni dopo, ma per la prima volta da quando il principale torneo britannico è diventato Premier League. E' interessante però notare come, rispetto ad allora, la formazione dei 'reds' sia alquanto poco 'british'. Forse lo sarà in qualche modo nello spirito, non certo nei passaporti dei propri giocatori.
La rosa attuale della squadra di Jürgen Klopp, infatti, composta da 23 giocatori, ne vede solo 8 inglesi, più uno scozzese, a fronte di 3 brasiliani, 2 olandesi e 9 di altre singole nazionalità diverse.
Ben diversa la composizione del roster che vinse l'ultimo titolo, nel 1989/90, con 25 giocatori, di cui 10 erano inglesi, 5 irlandesi, 4 scozzesi, un nordirlandese, un gallese e un rhodesiano per quanto riguarda le nazioni del Commonwealth, per un totale di 22 elementi con passaporto dell'Impero britannico, a fronte dei 9 presenti nella rosa attuale.
Sfrucugliando nel web, balza all'occhio come il campionato inglese sia quello con la più alta percentuale di calciatori stranieri al mondo: la Premier League precede infatti gli altri tornei con il 67,4% di giocatori stranieri. Dietro di lei Portogallo (63,2%) e Belgio (62,4%), mentre il campionato italiano si piazza al quarto posto con il 57,6%. Al quinto posto l'altro principale torneo britannico, la Premier League scozzese, con il 55,6%.
La statistica è del 2019, come dell'anno scorso è il rapporto dell'Osservatorio Calcistico CIES, che racconta come l'impatto dei calciatori britannici sulle 20 squadre della lega non sia mai stato basso come in questa stagione: in totale, i giocatori provenienti da Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord hanno un minutaggio pari al 38,2% del totale. Un dato inevitabile, se si pensi che i calciatori stranieri impiegati nella Premiership quest'anno siano stati 334. Il rapporto sul minutaggio è in netto calo rispetto alla scorsa stagione, quando i giocatori britannici erano stati in campo per il 42,2% del tempo totale. Peggiorato anche il precedente record negativo, relativo all'annata 2015/16 (41,3%). Anche per quanto riguarda i marcatori, il calcio britannico piange, toccando il 33,9%, la quota più bassa di sempre.
Da una ricerca personale, infine, si nota come lo specchietto relativo ai giocatori impiegati in Premier League veda, in questa stagione, un più alto numero di elementi inglesi rispetto alla prima edizione della Premiership (1992/93), ma con un numero più basso di minuti giocati e un numero nettamente inferiore di elementi provenienti dagli altri 'stati' di matrice anglosassone, a fronte di un numero superiore di giocatori impiegati o presenti in rosa.
Il disastro conseguente alla Sentenza Bosman ha spersonalizzato sempre di più i vari tornei europei. L'auspicio è che la Brexit contribuisca alla diminuzione dei giocatori (oltre che dei lavoratori in genere) stranieri in Gran Bretagna, consentendoci di rivedere il vero calcio inglese (e scozzese) nel suo spirito più vero e genuino.

Qui sotto le due tabelle legate all'utilizzo dei giocatori nella prima e nell'ultima edizione della Premier League. In alto la stagione 2019/20, in basso la 1992/93 (fonte: FBref):


Sgarbi spara a zero contro la Bartolozzi e la Sarti

Vittorio Sgarbi (immagine presa dal web)
Vittorio Sgarbi ancora protagonista alla Camera dei Deputati, dopo una serie di scambi, o meglio di invettive, protagoniste le deputate  Giusi Bartolozzi (Forza Italia) prima, e Giulia Sarti (Movimento 5 Stelle) poi, con la prima che, in aula, aveva replicato indignata alle accuse di Sgarbi alla magistratura.
Al termine del concitato scambio, che ha coinvolto il presidente Mara Carfagna, Sgarbi è stato portato via a braccia dalla Camera.
I video girati dagli altri parlamentari registrano il discorso che Sgarbi ha effettuato con fervore, tema la criminalità di certa magistratura, mentre non si sentono invece gli insulti (giudicati sessisti) che hanno portato all'espulsione (a peso) del critico d'arte, che però si giustifica discolpandosi da ogni accusa: "Non ho insultato la Bartolozzi: le ho solo ricordato come e da chi è stata candidata. Le registrazioni d’aula – dice Sgarbi – non hanno ripreso integralmente ciò che ho detto. Le ho solo evocato il nome di Silvio Berlusconi, e dunque per denunciare la sua ipocrisia. E per una semplice ragione. La Bartolozzi è stata candidata in Forza Italia perché lo ha chiesto Gaetano Armao, suo compagno, anche lui di Forza Italia, attuale assessore nella giunta della Regione Siciliana”. Sgarbi ci va giù pesante: "Non si può difendere astrattamente la magistratura senza ricordare di essere stati candidati dalla vittima più bersagliata della magistratura italiana, Silvio Berlusconi. Se Forza Italia oggi è ridotta a numeri di prefisso telefonico è anche per questo. Perché alle battaglie di principio, com’è quella per una magistratura indipendente e non politicizzata, si sono sostituite le battaglie del tornaconto personale”.
Ma Sgarbi ne ha anche per Giulia Sarti, che lo ha definito “indegno” di stare in Parlamento: "Non sa quel che dice. E nemmeno quel che fa. Una poveretta che, vale la pena ricordarlo per capire di che statura è il personaggio, per giustificare di essersi trattenuta 23000 euro destinati al ‘Fondo per il microcredito’ ha denunciato, ingiustamente, il compagno con cui viveva. Una che vive di rimborsi. Io vado in Tv perché invitato. Io vivo del lavoro di storico e critico dell’arte; la Sarti senza lo stipendio di parlamentare può solo lucidare scodelle”.


giovedì 25 giugno 2020

Striscione Burnley, le folli censure dei cosiddetti 'democratici'

L'incredibile comunicato della Solace
Una reazione totalitaria, terrorista, ecco a voi servito "1984", proprio da quella Gran Bretagna in cui George Orwell è vissuto.
La reazione è quella che ha fatto seguito allo striscione "White Lives Matter Burnley" che Jake Hepple, tifoso dei 'clarets', ha steso sorvolando in aereo lo stadio del Manchester City, impegnato contro la sua squadra del cuore.
Il 'pensiero unico' ha già condannato Hepple, etichettato come 'razzista' e tanto basta. Persino La Gazzetta dello Sport nazionale (quella che recentemente ha messo in copertina la foto del Papa che scrive ad Alex Zanardi, in un esercizio di dubbio gusto), unico giornale sportivo italian o a tornare sull'evento, titola "Licenziato l'ideatore dello striscione razzista".
In un colpo solo, notizia e interpretazione della stessa. Hepple è uno sporco razzista. Anzi, basta dire 'razzista'. Nella nuova Europa del 'pensiero unico' basta allontanarsi dall'idea ormai consolidata che ai 'neri' tutto sia concesso, anche riscrivere la storia. Un po' come ai comunisti, del resto.
E così Jake perde il lavoro. Ma non basta. Il pensiero va eradicato. Non è sufficiente colpire chi il pensiero l'abbia formulato. Il cancro va estirpato per evitare che alcune cellule possano fuggire. Anche Megan Rambadt, la sua 'ragazza', che pare ne condivida le 'opinioni', viene lasciata a casa dall'istituto di bellezza in cui lavorava. Non prima, però, gli sia stato offerto un 'intensive racial sensibility training' pagato dalla ditta, per giunta. Istituto di bellezza in cui lavora, si badi bene, la madre stessa di Hepple, che ha però pubblicamente denunciato e rinnegato qualsiasi commistione con il pensiero, meglio, 'psicoreato' del figlio.
"We want to make ABUNDANTLY CLEAR" scrive nel suo comunicato l'azienda, la Solace FH & R "that in no way does Jill or Solace agree or condone any actions or comments made by Jake or Megan". A chiudere, una campagna per accogliere fondi a favore di Megan, rimasta senza lavoro a causa delle proprie opinioni, è stata disattivata dalla piattaforma gofund.me.
Perché 2+2, in fin dei conti, è uguale a 5. E, forse, in effetti, White Lives Doesn't Matter. Oppure no? #IStandWithJakeHepple

Intesa Sanpaolo, un webinar per le PMI

Anna Roscio
Passa dall'internazionalizzazione la ripresa delle PMI, alla ricerca di una ribalta credibile dopo la crisi dovuta alla pandemia da coronavirus.
Nasce da qui lo Smart International Tour, serie di webinar che Banca Intesa Sanpaolo ha deciso di rivolgere alle proprie imprese clienti, e che si svolgerà da fine giugno in collaborazione con Monitor Deloitte, leader mondiale nel settore dei servizi professionali alle imprese.
Si tratta di un tour costituito da venti tappe che prevede il coinvolgimento di circa 400 PMI di tutto il territorio nazionale, per accompagnarle verso un percorso di ripresa anche internazionale.
Attraverso la sua rete estera capillare in circa 40 paesi costituita da filiali, uffici di rappresentanza e banche controllate, Intesa Sanpaolo garantisce il supporto necessario alle piccole e medie imprese, affiancandole nel percorso di crescita e internazionalizzazione per consentire lo sviluppo dell’operatività anche in nuovi mercati.
Anna Roscio, responsabile Direzione Sales & Marketing Imprese Intesa Sanpaolo ha dichiarato: "Obiettivo di questa iniziativa è fornire alla clientela imprese una prospettiva sui mercati e una panoramica sui prodotti e servizi della rete estera del Gruppo, rafforzando la continuità del supporto che la Banca garantisce alle imprese in Italia e all’estero, anche alla luce dell’attuale contesto da emergenza Covid-19 e gli impatti attesi a livello socio-economico". E ancora: "In questo momento di forte cambiamento vogliamo essere vicini alle imprese ed offrire loro supporti molto concreti per pianificare e cogliere a pieno le opportunità della ripresa con una prospettiva sul futuro che vada oltre i confini nazionali".

mercoledì 24 giugno 2020

Serbia, le elezioni incoronano 're' Vucic

Il volto di Aleksandar Vucic accanto ai risultati elettorali
Proseguono le interessanti analisi di politica internazionale da parte dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) di Milano. Questa volta, nella newsletter dell'istituzione di Palazzo Clerici, sono state trattate le ultime elezioni politiche in Serbia, che hanno visto stravincere il Partito Progressista Serbo (Sns) del presidente Aleksandar Vucic.
“Abbiamo vinto dappertutto”, ha dichiarato Vucic, descrivendo in modo abbastanza corretto l’esito delle prime votazioni post-pandemia che si sono svolte in Europa. A scrutinio quasi ultimato, il suo partito progressista (Sns) avrebbe ottenuto il 63% delle preferenze, portando a casa 187 seggi del parlamento su 250. Un aumento di 83 seggi rispetto alla precedente legislatura. Al secondo posto, con grande distacco e circa il 10% dei voti a favore, il Partito socialista serbo (Sps), alleato al governo con il Sns, e al terzo (col 4%) “SPAS”, l’Alleanza patriottica, formazione di centro-destra. Poiché nessun altro partito ha superato lo sbarramento del 3% il prossimo parlamento sarà dunque privo di un’opposizione, eccezion fatta per i rappresentanti delle minoranze che siedono di diritto nell’Assemblea e su cui non si applica la soglia di sbarramento. Un’anomalia che è anche la naturale conseguenza del boicottaggio elettorale del fronte anti-Vucic, riunito nella coalizione Alleanza per la Serbia (SzS) che da mesi denuncia la decadenza della democrazia serba e delle condizioni di voto, e il controllo assoluto esercitato dal partito di Vucic su ogni ambito della vita pubblica del paese.
Gli appelli dell’opposizione a boicottare il voto e a chiedere riforme hanno portato solo parzialmente i loro frutti: l’affluenza ai seggi non ha superato il 49% degli aventi diritto, in calo rispetto al 56,7 delle ultime elezioni del 2016. “Le persone sono state contattate ad una ad una per votare, messe sotto pressione, minacciate, eppure tutto ciò non è bastato per raggiungere un'affluenza superiore al 50%”, ha affermato Dragan Djilas, uno dei leader dell'Alleanza per la Serbia, definendo il boicottaggio “un successo”. Ma a prescindere dagli appelli al boicottaggio, a pesare sarebbe stato anche il timore dei contagi. La Serbia conta 12.894 casi di contagio e 261 morti a fronte di una popolazione di circa 7 milioni di abitanti. I numeri sembrano destinati a risalire, in virtù anche della scarsa informazione che il governo ha fornito ai cittadini e della mancanza di divieti sugli assembramenti. Con l’1,8% dei voti, non ha superato la soglia di sbarramento neanche il Movimento dei cittadini liberi (Psg), partito di opposizione guidato da uno dei leader di spicco delle proteste di piazza che per tutto il 2019 e l’inizio del 2020 si sono tenute ogni settimana nel paese, l’attore Sergej Trifunovic. Resta fuori anche il Partito radicale serbo, formazione nazionalista guidata dal criminale di guerra Vojislav Seselj.
Tra i primi a congratularsi con Vuvic per la vittoria, Victor Orban ha postato su Instagram una foto dei due che si stringono la mano. Il mese scorso, nella sua classifica sullo stato di salute della democrazia nel mondo, la Freedom House aveva rivisto al ribasso lo status della Serbia ponendo il paese allo stesso livello dell’Ungheria, tra i ‘regimi ibridi’. Eppure, complimenti per la vittoria sono arrivati anche dal commissario europeo per l'allargamento Olivér Várhelyi, che su Twitter ha commentato che non vede l'ora di aiutare la Serbia ad “avanzare rapidamente verso l'adesione all'Ue”. In molti, tra i commentatori, gli hanno fatto notare che difficilmente la “nuova” assemblea serba potrà collaborare al processo di adesione.
È un sostegno più o meno esplicito, quello delle istituzioni di Bruxelles al governo che da 8 anni guida la Serbia, che segue il criterio della ‘stabilocrazia’: sostenere regimi illiberali – in particolare nella regione balcanica – fintanto che questi mantengono un orientamento pro-europeo e garantiscono stabilità e continuità di governo.
Nonostante abbia tradito le promesse relative alle riforme e a mantenere senza oscillazioni la rotta del paese verso l’Unione Europea, Vucic appare agli occhi di Bruxelles come l’unico leader capace di garantire una soluzione alla questione del Kosovo, e il processo di normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina mediato dall’Ue dal 2013 è in stallo dal 2018. Di recente, Vucic e il presidente della ex provincia, indipendente dal 2008, Hashim Thaci, sembrano sostenere informalmente la proposta di una ridefinizione delle frontiere: il nord del Kosovo, abitato in maggioranza da serbi, andrebbe a Belgrado e tre villaggi serbi, abitati prevalentemente da albanesi, passerebbero a Pristina. Uno scambio di territori, che sembra avere la benedizione dell’inviato speciale di Donald Trump, l’ambasciatore Richard Grenell, che ha convocato entrambi i leader per sabato prossimo a Washington, ma che non convince l’Europa, cosciente che la firma di un accordo da sola non basta a garantire la pace e la stabilità della regione balcanica. Anche se ormai il percorso sembra tracciato. Secondo Mediapart, Vucic era in cerca di un plebiscito prima di avviare i negoziati, “in modo da avere le mani libere”. Ora, sembra cosa fatta.
Giorgio Fruscione, ISPI Research Fellow, commenta: “La democrazia serba da oggi entra in un baratro da cui difficilmente saprà uscire. Dopo anni di totale controllo su media, istituzioni e governo, ora il partito di Vucic controlla la quasi totalità del parlamento. Una situazione che è addirittura peggiore di quella del regime di Slobodan Milosevic, da cui i cittadini serbi si ribellarono e liberarono vent’anni fa”. E ancora: “All’epoca c’era un’opposizione, che oggi rimane invece alla porta; e soprattutto allora le istituzioni occidentali denunciavano l’autoritarismo e la mancanza di stato di diritto. Ora invece Belgrado gode del supporto dell’UE, che è stata incapace di produrre risultati concreti anche nel dialogo con Pristina, e che ora passa nelle mani della Casa Bianca. Sia la democrazia che la stabilità a livello regionale si allontanano ulteriormente dai Balcani”. (fonte: ISPI)

Leggi anche: India e Cina, sanguinosi scontri sul confine himalayano

"White Lives Matter" sopra lo stadio di Manchester, e scoppia l'accusa di razzismo

"White Lives Matter": goliardia, ma anche verità
Fa discutere in Inghilterra la singolare (e, a mio avviso, apprezzabile) iniziativa di un gruppo di tifosi del Burnley che, durante la partita di Premier League disputata a porte chiuse all'Al Etihad Stadium (in realtà il City of Manchester Stadium ridenominato causa sponsor arabo) contro il Manchester City, ha fatto sorvolare l'impianto da un aereo che recava con sé uno striscione con la seguente frase: "White Lives Matter Burnley".
Una risposta chiara al clamore e alle violenze perpetrate in questi giorni dal sedicente movimento Black Lives Matter, già esistente da anni, ma strumentalmente cavalcato dopo l'omicidio, da parte di un poliziotto americano, del 'colored' George Floyd.
La vicenda dello striscione 'incriminato' è stata vissuta secondo i più drammatici canoni del 'politically correct' anglosassone. Genuflessione in atto di contrizione, richiesta di perdono, intervista alla madre di uno degli organizzatori del 'misfatto', Mark Hamer, la quale dichiara la propria 'vergogna' per il gesto del figlio e addirittura dice di non poter "lasciare la mia casa per andare al lavoro, affrontando gli sguardi dei colleghi". Come in un regime perfetto, come in un mondo orwelliano, anche il padre rinnega ogni gesto del figlio, stigmatizzandolo e ribadendo di non averci "nulla a che fare". Aspettando il 'Gin della Vittoria'.
Il Burnley, dal canto suo, si è affrettato a rilasciare un piagnucolante comunicato stampa in cui ribadisce la solita solfa dell'uguaglianza universale, il proprio sostegno al movimento Black Lives Matter e la minaccia di 'squalifica a vita' dal proprio stadio, il Turf Moor, per tutti coloro che abbiano preso parte all'atto, una volta scoperti. Sulla pagina Facebook del club è stata una aggiunta una intervista a un giocatore (di pelle bianca) il quale appare contrito e sconsolato affermando, in sostanza, "Siamo tutti imbarazzati e sconvolti". Addirittura! Dei miliardari sconvolti nel proprio tenero animo da uno striscione!
Dietro l'iniziativa, indubbiamente coraggiosa e geniale, al di là di come la si pensi, c'è la firma di Jake Hepple, amico di Hamer, il quale si è assunto la piena paternità del gesto, scrivendo sulla propria pagina Facebook: "I'd like to take this time to apologise .. TO ABSOLUTELY F ** NOBODY!". Aggiungendo: "Evidentemente adesso viene considerato razzista dire 'White Lives Matter'". Come dargli torto?

martedì 23 giugno 2020

Cina imperterrita, comincia il festival della carne di cane

Cani in gabbia in Cina (immagine tratta da Internet)
I comunisti non solo mangiano i bambini (che, in senso lato, è pur vero, visto le stragi di innocenti con cui hanno brutalizzato il mondo fin dal secolo scorso), ma si cibano anche di centinaia di migliaia di cani, altrettanto innocenti.
Succede a Yulin, in Cina, in pieno contagio da Coronavirus, in cui da domenica ha preso il via l'11.a edizione della fiera della carne di cane, che durerà fino al 30 giugno. Sarà per l'ennesima volta, fra le proteste di tutto il mondo, l'ennesima mattanza del 'migliore amico dell'uomo' ucciso nei modi più brutali dal 'peggiore amico dell'uomo'.
Il tutto nonostante il divieto delle autorità e l'esclusione dalla lista degli animali commestibili pubblicata dal ministero dell'agricoltura cinese ad aprile, con ampia diffusione sui quotidiani internazionali della notizia.
Il sito "Sussidiario.net" scriveva nel 2018: "Come ogni anno, nella città del Guangxi, inizia oggi un evento, o meglio, una strage, che dura dieci giorni, e che porta alla morte di migliaia di cani. Nello stato cinese parlano di tradizione, ma in realtà sarebbe una semplice fiera a scopi commerciali. A segnalare lo scempio, Humane Society International, che si batte ormai da anni contro questo festival dell’orrore, e che con il passare del tempo ha acquisito sempre più partner, nuovi attivisti che si sono opposti fermamente alla mattanza". E ancora: "Pare infatti che il governo si sia impegnato a fare chiudere il festival di Yulin, e la polizia è presente sul luogo, pattugliando i mercati e vietando la vendita di carne di cane. Peccato però che i controlli siano presenti solamente nella via principale, visto che in quelle laterali la mattanza sta continuando".
Considerazione personale. Vi invito a fare sentire la Vostra Voce protestando presso il sito dell'Ambasciata Cinese in Italia: https://www.facebook.com/chineseembassyitaly.

lunedì 22 giugno 2020

Strage di Reading, a chi importa se muore un bianco?

Anche il calcio italiano è vittima della demagogia di BLM
Porta con sé un acuto stridore di logica e umanità vedere come, in particolare nel campionato di calcio inglese appena ripreso dopo la pausa a causa del Coronavirus, ci si inginocchi nel nome di George Floyd, pluricriminale ed ex-galeotto, e tutte le squadre portino sulle spalle la scriva "Black Lives Matter", mentre praticamente nessuno abbia mosso ciglio, alzato un dito o chiesto un minuto di silenzio nel nome delle tre vittime del parco di Reading (della cui identità finora se ne conosce solo una, un professore di scuola inglese di pelle bianca), uccise per mano di un rifugiato libico di 25 anni, Khairi Saad­allah.
Già, avete capito bene, l'assassino delle tre persone, avvenuto poco dopo, guarda caso, una manifestazione di BLM, è un richiedente asilo, uno di quelli la cui libertà e accoglienza viene declamata e reclamata a gran voce dalle decine di migliaia di persone che, nelle manifestazioni (cosiddette) antirazziste, hanno inserito un po' di tutto: la protesta per la morte di Floyd, l'odio nei confronti di Donald Trump, a seconda del Paese l'odio per il partito o per il movimento sovranista di turno (il famoso "è colpa di Salvini"), i diritti dei transessuali, delle donne gobbe e di quelle grasse, dei cani da pastore, dei cani per ciechi e di quelli sciolti, il mal di pancia e il mal di denti, e forse pure la nausea per il panettone mangiato lo scorso Natale.
Insomma, nelle manifestazioni in cui radical-chic, benpensanti, moralisti, musulmani, gay, lesbiche, clandestini, nordafricani, spacciatori e chi più ne ha più ne metta, si uniscono per formare un meraviglioso caleidoscopio di colori (spenti), mi chiedo se ora qualcuno si inginocchierà, a partire dalla prossima, per James Furlong, insegnante inglese bianco trucidato, assieme ad altre due persone, da un richiedente asilo libico e musulmano. Perché White Lives Matter Too.

domenica 21 giugno 2020

Arabo uccide tre inglesi a Reading, White Lives Matter Too

L'apertura del sito del giornale inglese "Daily Mirror"
Il movimento Black Lives Matter impera ovunque incontrastato, e metterne in dubbio autenticità e ideali è esso stesso un reato. Anzi, uno psicoreato.
Diventa però inquietante notare come, poco dopo la manifestazione cosiddetta 'antirazzista' di BLM, andata in scena nel parco Forbury Gardens di Reading, un arabo di origine libica abbia attaccato un gruppo di persone presenti con un coltello, provocando una strage: alla fine si sono contati infatti tre morti e tre feriti gravi sabato notte. Sarebbe stata solo la pronta risposta di un agente di polizia a placcare l'assassino e a bloccarlo, secondo i testimoni.
La polizia della cittadina nei pressi di Londra ha subito cominciato il 'balletto' delle notizie sussurrate: dapprima si è escluso ogni legame con il terrorismo, quindi la pista islamica ha preso sempre più consistenza, fino all'arresto del libico 25enne, con l'ammissione come l'atto sia considerato "di natura terroristica".

L'articolo de "Il Giornale"

L'articolo de "Il Corriere della Sera"

sabato 20 giugno 2020

Black Lives Matter, la polizia francese dice basta alle accuse di razzismo

I poliziotti francesi non ci stanno
La polizia francese dice basta. Basta alle accuse di violenza lanciate dai manifestanti di Black Lives Matter, basta con la demagogia che li vede sul banco degli imputati in qualità di razzisti.
Già pochi giorni fa una rappresentanza dei poliziotti francesi si era radunata davanti all'Arco di Trionfo, lampeggianti accesi, per esprimere il proprio dissenso nei confronti di una società e di un governo francesi (ed europei), che hanno deciso di sposare il movimento BLM senza batter ciglio, senza nemmeno darsi la pena di muovere un'eccezione, a quello che pare sempre più come un movimento politico pilotato per rianimare il cadavere di una Sinistra esanime.
La manifestazione della polizia ha avuto luogo nella serata a Place d'Italie, a Parigi, nel 13° 'arrondissement'. Anche in questo caso sono state decine le auto e i furgoni ad avere occupato la carreggiata.
In Francia la morte di George Floyd è stata paragonata a quella di Adama Traoré, che nel 2016 venne ucciso durante un'operazione di polizia.

L'apertura del sito ufficiale della 'Police nationale' francese

venerdì 19 giugno 2020

Il bikini 'black' di Bolami al centro dell'estate 2020

Il particolare bikini di Bolami
L'estate del dopo Covid passa anche da un bikini nero. Arriva da Bolami la proposta 'black' (ma anche in altri colori) per questo 2020 che, ci si augura, troverà tanto sole cui potersi abbronzare, per coloro che decideranno (e potranno) andare sulle spiagge italiane.
Realizzato artigianalmente con Lycra italiana, è composto da una fascia monospalla, non imbottita, con laccetti rimovibili e dettagli di micro cristalli Swarovski, che disegnano sul décolleté una parabola sinuosa.
Ed è proprio la parola 'sinuosa' su cui punta la fondatrice del brand, la giovane stilista Michela Mazzini. Un disegno sinuoso come le curve dell'architetto Zaha Hadid, espresse dal London Aquatics Centre, dal centro culturale Heydar Aliyev a Baku, dal ponte Sheik Zayed di Abu Dhabi e del Museo Riverside di Glasgow, archi e incastri che scandiscono lo spazio e lo rendono nuovo e sorprendente.
La fascia Shine On di Bolamì ha spalline che sfuggono alle comuni soluzioni che si trovano, normalmente, in un reggiseno di bikini. Spostano il loro asse, creano un nuovo disegno sulla pelle, offrono un forte impatto visivo. Come tutte le creazioni della Mazzini, anche questa fascia è venduta separatamente e può essere abbinata a slip sgambati con laccetti o a brasiliani a vita alta.
Un applauso alla fantasia di Michela dunque, per un prodotto che diventa un 'oggetto del desiderio' (in tutti i sensi) dell'estate 2020. O di quello che ne resterà.

Cominciando la giornata ascoltando... Mel C

Mel C in concerto (foto profilo Facebook)
Melanie C mi è venuta in mente stamane, mentre scrivevo il post sulla prossima presenza di Osvaldo Supino al Global Pride del 27 giugno. Con lui, appunto, ci sarà anche Mel C, storica Sporty Spice che, come le altre 'ragazze speziate' e forse più di tutte, ha ottenuto un enorme successo solista.
Abbastanza ignorante al riguardo, ho provato ad approfondire la sua carriera, cominciando dal suo primo disco, "Northern Star".
Pluripremiato, non l'ho ascoltato tutto, ma l'ho trovato sicuramente d'impatto e piacevole, con il potente brano d'apertura "Go!" (che consiglio come 'mantra' per ogni buon risveglio) e altri più morbidi come "If that were Me", delicata ballata in puro stile britannico che, sinceramente (non ridete), mi ha ricordato i ritmi irlandesi dei The Corrs, anche grazie a quella tonalità di voce così particolare e caratterizzante, elegantemente stridula, di quella che forse è la più birichina fra tutte le Spice che, nel video di "Goin' Down", ci regala perfino un inatteso upskirt, più 'sporty' e sudata che mai...
Un album da ascoltare, insomma, ricco di particolarità e suoni diversi, con quell'introduzione di grancassa che sembra rubata ai miei pensieri, visto che da sempre avrei voluto cominciare una mia eventuale canzone in questo modo. Che Mel C sia dotata anche di poteri divinatori?




Osvaldo Supino rappresenterà l'Italia al Global Pride

Osvaldo Supino (foto Ivan DellaNave, da Facebook)
Ho avuto l'occasione di conoscere Osvaldo Supino attraverso una serie di interviste realizzate per Telenorba.
Giovane talentuoso e delicato, Osvaldo esce dal canonico sistema della melodia italiana, abbracciando un approccio più internazionale verso la propria musica, che lo ha portato a collaborare con alcuni 'giganti' del mondo della canzone internazionale.
Da sempre noto per il proprio impegno nel mondo lgbt, arriva così scontata ma importante la conferma della sua presenza al Global Pride di quest'anno, in rappresentanza dell'Italia.
Con lui ci saranno, fra gli altri, Melanie C, Adam Lambert e LeAnn Rimes, in una maratona di 24 ore, trasmessa in tutto il mondo sulle varie piattaforme.
"E' un onore per me essere parte di qualcosa di così grande e importante. Se c'è qualcosa che questo Covid ci ha insegnato è il potere dell'unione, del buono, del proteggersi reciprocamente", ha dichiarato Osvaldo, che ha aggiunto "Sono immensamente grato e felice di dare il mio contributo con la mia musica".
Quest'anno, fra l'altro, Osvaldo celebra i suoi primi dieci anni di carriera, un traguardo 'bagnato' un mese con il ricevimento dell'ennesimo premio, il Renaissance Award ottenuto ad Amsterdam.
Quattro i suoi album pubblicati ad avere debuttato nelle prime posizioni delle chart, record come unico Italiano nominato ai BT Digital Awards di Londra, oltre 8 milioni di streams certificati per l'ultimo disco, "Sparks", tra i soli quattro italiani insieme a Lara Pausini, Eros Ramazzotti e IlVolo sulla CNN, e collaborazioni con Scott Robinson Charlie Mason, per creare un sound sicuramente unico e riconoscibile.
Per rappresentarlo e offrirvi un suo brano, ho scelto una sua canzone molto particolare, che forse non ricalca appieno il suo stile, ma che ne esalta le doti musicali e canore. Buon ascolto e complimenti Osvaldo!


giovedì 18 giugno 2020

Napoli campione, Mimmo Pesce come John Belushi

Mimmo Pesce a Top Calcio 24: non sembra John Belushi?
Il Napoli vince la Coppa Italia, meritatamente, anche se superando solo dopo i rigori la Juventus.
Non sono fra quelli che 'odiano' la Juve, ma questa sera sono contento, quasi felice.
Felice per 'Ringhio' Gattuso, cuore rossonero; felice perché sono contrario alle dittature, e quella bianconera cominciava a diventare un po' asfissiante; felice perché sono contrario ai verdetti apparentemente già scritti; felice, perché il prepartita mi ha regalato buoni motivi per realizzare un post, grazie allo strafalcione di Sergio Sylvestre durante l'inno; felice, perché durante la gara un altro aspetto ridicolo (se non fastidioso) è stato quello delle terrificanti bandierine fosforescenti; felice infine, per Mimmo Pesce che, assieme alla redazione di Top Calcio 24, ha saputo stemperare ancora una volta il pathos calcistico e chiudere la serata con un gesto di gioia 'alla Ronaldo', a metà strada fra John Belushi (ricordate la scena in chiesa del film "I Blues Brothers"?) e Diego Maradona.

India e Cina, sanguinosi scontri sul confine himalayano

Una cartina dell'area incriminata
India e Cina una contro l'altra, in uno scambio armato 'caldo', che ha provocato decine di morti lungo il confine himalayano. L'argomento è stato approfondito dall'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) di Milano, che, in una sua newsletter, ha riepilogato i fatti.
I soldati indiani uccisi dai militari cinesi sarebbero almeno 20, negli scontri avvenuti nella regione del Ladakh: si tratta dell'incidente più grave dal 1975 nel territorio conteso, fra le catene del Karakorum e dell’Himalaya.
In un primo momento si era parlato di tre soldati uccisi ma il bilancio è stato aggiornato dopo che altri 17 militari indiani sono morti in seguito alle ferite riportate.
La tensione tra i due giganti asiatici è alle stelle e il ministro degli Esteri indiano ha accusato Pechino di avere volontariamente violato un accordo raggiunto nelle ultime settimane, in cui le due potenze si impegnavano a rispettare la ‘Linea attuale di controllo’ (Lac) nella valle di Galwan, a circa 4000 metri sul livello del mare.
Pechino ha prima accusato i militari indiani di avere provocato l’incidente attraversando il confine e poi buttato acqua sul fuoco concordando sulla necessità di "calmare le tensioni" il prima possibile. Entrambe le parti avevano confermato che non c’è stato scontro a fuoco tra i militari e che i decessi sarebbero stati causati da scontri con pietre e bastoni.
La frontiera tra India e Cina non è un confine netto. Lungo gli oltre 3400 chilometri in comune, molte sono le zone contese e quelle teatro di scontri sporadici in cui i soldati si ritrovano spesso faccia a faccia. La divisione tra i due paesi, tracciata dagli inglesi nell’Ottocento, non è mai stata accettata né dalla Cina né dall’India. Dopo l’indipendenza, nel 1947, l’India rivendicò alcuni dei territori che i cinesi non avevano abbandonato, tra cui la valle di Galwan, teatro di schermaglie dalla fine degli anni Cinquanta. Nel 1962 un confine semi-ufficiale, la Linea attuale di controllo (Lac), fu stabilito dai due paesi che da allora si incontrano periodicamente per discutere la questione delle frontiere ma senza aver mai raggiunto un accordo. Lo scontro riguarda anche la costruzione di infrastrutture, strade, aeroporti e ferrovie, che potrebbero facilitare l’invio di rinforzi in caso di conflitto. Negli ultimi cinquant’anni, tuttavia, le schermaglie tra i militari dei due fronti non avevano provocato vittime. Fino a ieri.
Le tensioni nella zona hanno cominciato a riaccendersi agli inizi di maggio, con dei tafferugli tra i militari indiani e cinesi nei pressi del lago Pangong Tso. In quell’occasione alcune centinaia di soldati dei due fronti si erano tirati sassi e picchiati a bastonate sulle montagne tra il Ladakh, sotto il controllo indiano, e l'Aksai Chin, amministrato da Pechino e reclamato da New Delhi. Nelle settimane successive, la Cina aveva dispiegato migliaia di soldati lungo il confine, alimentando i timori di un blitz per prendere il controllo di alcune aree contese. L'incidente di ieri, oltre a minare il quinto ciclo di incontri ‘pacificatori’ tra le due potenze nucleari, riaccende i riflettori sul confronto armato per la supremazia di una regione, quella himalayana, contesa anche dal Pakistan, che controlla l'Azad Kashmir con l'appoggio politico e militare della Cina, interessata a portare avanti il ‘Corridoio economico Cina-Pakistan’ tra lo Xinjiang e il porto di Gwadar sul Mare arabico, fiore all’occhiello della Nuova via della Seta.
Una nota di Pechino pubblicata poche ore fa sembra confermare quello che gli osservatori più attenti dicono da giorni: Cina e India non vogliono che la crisi degeneri in un conflitto. I motivi sono diversi e tutti quanti validi. Intanto perché si tratta delle uniche due economie asiatiche che secondo le previsioni chiuderanno l’anno in positivo, e una guerra pregiudicherebbe la loro crescita già fortemente segnata dalla pandemia. Pechino poi, si trova alle prese con un nuovo focolaio di Coronavirus nella capitale, la gestione delle proteste a Hong Kong e le rinnovate tensioni nord coreane. Inoltre – fermo restando le dispute di confine – il commercio bilaterale con New Delhi è aumentato di 67 volte tra il 1998 e il 2012 e la Cina è il principale partner commerciale dell'India. Gli studenti indiani si riversano nelle università cinesi ed entrambe le parti tengono esercitazioni militari congiunte. “Né il Primo Ministro Narendra Modi né il Presidente Xi Jinping vogliono una guerra” dice al New York Times Ashley J. Tellis, “ma nessuno dei due può rinunciare alle proprie rivendicazioni territoriali”. Certo, se dietro lo scontro non si nasconde una volontà bellica ora si tratta di trovare una via d’uscita ‘onorevole’ per le parti in gioco. Il difficile sarà farlo davanti ad opinioni pubbliche nutrite da anni di retorica identitaria e sovranista, su cui entrambi i leader hanno costruito la propria scalata al potere.
A corredo della vicenda il commento di Nicola Missaglia, ISPI Research Fellow: "La Cina e l’India che da mezzo secolo litigano per un confine conteso non sono più quelle di una volta. Non ci sarà una guerra - prosegue Missaglia -, ma questa escalation è diversa delle tante schermaglie a cui i due giganti emergenti che un tempo disponevano di mezzi e risorse simili ci avevano abituati. Oggi siamo di fronte al corpo a corpo violento tra una superpotenza autoritaria in ascesa, la Cina, e una superpotenza democratica nascente, l’India, che malgrado la sua ovvia inferiorità economica e militare rimane pur l’unica nella regione in grado di contestare le ambizioni di Pechino".
Il docente dell'ISPI parla poi del collegamento fra la vicenda e il coronavirus: "La pandemia apre una stagione di nuove incertezze per l’una e per l’altra, ma soprattutto per due nazionalismi che hanno riposto una buona porzione della propria legittimità nelle prospettive di crescita economica messe in crisi dal Covid. Solo che la Cina oggi vede la luce in fondo al tunnel, mentre l’India è ancora in mezzo al guado con pochissimo margine di manovra. Un conflitto vero e proprio ora non conviene a nessuno: ma per Xi c’è forse momento migliore di questo per ricordare al grintoso avversario chi è il più forte? È il ritorno della hard geopolitics". (fonte: ISPI)

L'articolo de "Il Corriere della Sera"

L'articolo de "Il Giornale"

Sergio Sylvestre, un inno così non s'ha da fare...

Sergio Sylvestre
E' stata una Coppa Italia cominciata con l'autogol. Pronti, via, ed ecco l'inno nazionale cantato da uno che italiano nemmeno lo è, visto che Sergio Sylvestre, a dispetto del nome, è di passaporto statunitense, nato a Los Angeles, da padre haitiano e mamma messicana. Possibile che abbia uno zio di Baranzate ma, al momento, questo non risulta.
Come traspare da queste righe, il colore scuro della sua pelle non c'entra nulla (almeno da parte mia), mentre pare invece evidente il tentativo della Lega Calcio di aderire goffamente alla campagna Black Lives Matter convocando all'interpretazione di "Fratelli d'Italia" un cantante 'nero', la cui unica dose di italianità è quella di avere partecipato a una edizione del talent show "Amici" di Maria De Filippi. Roba fina, insomma.
Sylvestre ha tutto per rientrare nell'aspetto didascalico del 'nero' così come ci viene proposta dai film più classici e stantii: una via di mezzo fra Barry White e Puff Daddy, una variopinta messe di anelli in stile pappone malavitoso e una pronuncia della 'r' che tradisce le origini d'oltreoceano.
Il tutto, beninteso, tralasciando il 'piccolo dettaglio' della doppia dimenticanza delle parole dell'inno stesso durante l'esibizione: due stop durante la messinscena che, di certo, non hanno giovato all'immagine del cantante.
E va bene, sei americano, hai avuto l'immenso culo di venire in Italia e andare pure in tivù, ma almeno l'inno nazionale 'sallo'...

martedì 16 giugno 2020

Indro Montanelli, i Rolling Stones e Mandy Smith, ecco cos'hanno in comune

Mandy Smith nel 1987 al Festivalbar
Divertente la dissertazione che Cristian Raimo fa a spada tratta offendendo la memoria di Indro Montanelli, da lui definito stupratore, razzista e chi più ne ha più ne metta. Una scenetta gustosa che, anche fosse posta su basi corrette (la violenza perpetrata dal famoso giornalista verso una ragazzina di 12 o 14 anni, le fonti si dividono), è stata poi funestata dalla tragicomica sceneggiata dello scrittore / professore, obnubilato e annebbiato dal pensiero 'sinistro' del politicamente corretto. Una brutta pagina che gli resterà appiccicata, inchiodandogli l'immagine di squadrista ideologico.
Rimosso Raimo poco dopo mi sono imbattuto, sempre su Rete 4, su una retrospettiva del Festivalbar, trasmissione di dubbio gusto all'interno della quale veniva trasmessa (in rigoroso playback) musica di basso profilo e alte vendite commerciali.
La vicenda Montanelli rimane però attuale visto che, fra le prime ospiti, appare Mandy Smith (Festivalbar 1987), figura procace e look da consumata pornostar. Mosso a curiosità, scorro veloce le informazioni su di lei elargite da Wikipedia: londinese, classe 1970, al momento della messa in onda della trasmissione è ancora minorenne: appena 17 anni. Eppure, la bella Mandy ha un vissuto già degno di una biografia da 400 pagine: quattro anni prima, alla precoce età di 13 anni, la stessa età della sposa di Montanelli, ma non nella stessa Eritrea degli anni '40, era stata prima l'amante e poi (nel 1989) la moglie di Bill Wyman, bassista dei Rolling Stones, all'epoca 47enne. Il rapporto fra i due, con lei ancora bambina (forse), viene definito da Wikipedia 'relazione sentimentale'. Teneri. Sempre minorenne, Mandy venne 'notata' da Pete Burns, cantante del gruppo dei Dead or Alive, che l'aiutò nella produzione dei suoi primi due singoli, "I Just Can't Wait" e "Positive Reaction".
Autentica 'perla' in questa storia, il fatto che, nello stesso periodo, il figlio di Wyman e la madre di Mandy rimasero a loro volta coinvolti in una relazione sentimentale, interrotta prima del matrimonio. Applausi. Sipario.


lunedì 15 giugno 2020

"Todo Modo", l'interpretazione senza sconti che Volonté dette di Aldo Moro

Gian Maria Volonté, qui e sotto, in versione Presidente M
E' notte, e non potrebbe essere altrimenti, mentre osservo estasiato alcuni frammenti di "Todo Modo", film del 1976 diretto da Elio Petri, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia.
Dalla Democrazia Cristiana ad Aldo Moro, passando per incredibili precognizioni di un futuro che sembra già scritto, fra derive dispotiche sovrannaturali di origine berlusconiana e una spolverata millenarista di coronavirus latente, il film è uno sguardo impietoso sulla vita politica della Prima Repubblica, una finestra aperta sul potere assoluto di una classe eternamente presente, che va oltre l'aspetto del mero potere fisico.
Osteggiato, dimenticato, scomodo. Soprattutto dopo, ovviamente, il rapimento e l'assassinio di Moro. Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni e Mariangela Melato sono i tre capisaldi di una gemma che non è nemmeno difficile da capire ma che tale fu considerata, perché evidentemente permeata di una grottesca ma feroce condanna non solo della DC, ma di quella 'partitocrazia' ambigua a supporto della quale Moro cercò di trovare una 'sintesi' attraverso l'alleanza con il Partito Comunista Italiano.
Il nome di Moro non è mai enunciato durante il film, ovviamente, ma il Presidente M è lui, una figura ripugnante di beghinismo cattolico, mischiata a un millenarismo vissuto in sofferta preghiera, riconoscibile a quasi cinquant'anni dalla morte grazie all'incredibile bravura di Volonté. Semplicemente immenso, totalmente dissacrante. L'immagine impietosa di Volonté-Moro sfocia nella bestemmia empia rivolta a un personaggio poi santificato dalla storia ufficiale.
Quella stessa storia che ha prima prodotto la DC e che dalla DC è stata scritta, a uso e consumo di quel mondo e di quella classe che "Todo Modo" descrive in maniera perfetta.


Aldo Moro, figura su cui è imperniata la critica immagine del Presidente M