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domenica 28 giugno 2020

Enoch Powell, il grande preconizzatore dell'invasione afroasiatica

Enoch Powell
In questi tempi dove il caos regna in una Europa sempre meno europea e sempre più arabizzata, secondo la tangibile teoria dell'Eurabia, coniata dalla scrittrice ebrea Gisèle Littman e poi ripresa e potenziata nel pensiero e nelle opere di Oriana Fallaci.
Prima di loro, la previsione di un futuro macabro in seguito all'invasione dei popoli afroasiatici, fu il grande uomo politico inglese Enoch Powell, già studioso di lettere antiche, a cinque anni in grado di leggere il greco antico e professore della medesima lingua a venticinque.
Fu lui l'autore del grande discorso poi chiamato dei "fiumi di sangue" ("Rivers of Blood Speech") pronunciato il 20 aprile 1968 al Midland Hotel di Birmingham, durante una riunione del Conservative Political Centre. In quell'occasione Powell preconizzò per la Gran Bretagna un futuro di problemi razziali e rivolte urbane simili a quelle che stavano avvenendo negli Stati Uniti dalla metà degli anni '60.
Powell affermò, fra le altre cose: "We must be mad, literally mad, as a nation to be permitting the annual inflow of some 50000 dependents, who are for the most part the material of the future growth of the immigrant descended population. It is like watching a nation busily engaged in heaping up its own funeral pyre. So insane are we that we actually permit unmarried persons to immigrate for the purpose of founding a family with spouses and fiancées whom they have never seen".
A causa di questo discorso controverso, Edward Heath, esponente del Partito Conservatore, lo rimosse dal partito. Ciononostante, un sondaggio effettuato in seguito alla sua orazione rivelò che il 74% della popolazione britannica concordava con le opinioni di Powell.
Nel 1976 Eric Clapton, durante un suo concerto a Birmingham, ebbe parole di approvazione per Powell, asserendo che la Gran Bretagna stava diventando "sovraffollata" e avrebbe corso il rischio di diventare una "colonia dei neri".





giovedì 17 agosto 2017

Barcellona, state attenti a non chiamarli terroristi islamici

Barcellona, almeno 13 morti e 32 feriti. Alle 19.16 nessuno ha ancora avuto il coraggio di pronunciare la parola 'islamico'. Li chiamano 'terroristi', 'autori del folle gesto', qualcuno ha addirittura estratto la magica parola 'islamisti', edulcorata parola che tiene a bada paventate accuse di discriminazione verso i 'poveri musulmani', ma che riduce la fede professata da questa ciurmaglia a un puro orpello quasi casuale, di contorno. Non sono islamici, ma islamisti. Gian Antonio Orighi, giornalista de La Stampa, sottolinea come alla guida del furgone che ha mietuto la strage ci fosse uno spagnolo. Ci tiene a farcelo sapere, aggiungendo però solo dopo che l'origine del 'folle' (che poi siano un gruppo, probabilmente tutti folli e tutti incontratisi per caso, è secondario) è araba (pare si chiami Driss Oukabir o qualcosa del genere). Ma basterebbe guardarlo in faccia, questo volto olivastro da immigrato come tanti che dalle barche schiumano da anni sulle terre italiche ed europee, cambiando storicamente la struttura e la cultura della nostra Europa e della gente che la abita. E' il meticciamento la vera bomba umana che l'invasione ci sta silenziosamente portando, pericolosa quanto se non di più, perché strisciante e vigliacca. "Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l'emisfero sud per irrompere nell'emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria". Lo disse nel 1974 Houari Boumedienne, cioè l’uomo che tre anni dopo l’indipendenza dell’Algeria aveva spodestato Ben Bella, davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite. Una frase che venne riportata non da un suprematista della Virginia, ma Oriana Fallaci nel libro "La forza della ragione".