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mercoledì 25 agosto 2021

Charlie Watts, quando nel 1970 suonò al Palalido con la maglia del Milan

Charlie Watts e Mick Jagger al Palalido nel 1970
Charlie Watts
, batterista dei Rolling Stones, si è spento a 80 anni. Ha smesso di suonare e di andare in tour con il gruppo poco prima dell'addio, confessando con humour tipicamente inglese, poco prima di morire, che lui, malato di cuore, per una volta, era andato fuori tempo.
Gli appassionati degli Stones non troveranno qui storie che altrove saranno meglio raccontate dai veri appassionati di questo leggendario gruppo. Bensì solo una nota a margine del doppio concerto tenuto a Milano, ben riassunto da questo passo trovato su Facebook e firmato da Rockit.it: "Il 1° ottobre del 1970 (vedi il video sotto al post, ndr) andava in scena il doppio concerto dei Rolling Stones al Palalido di Milano, un live alle 16 e uno poco dopo le 21, entrambi di un'ora circa e con identica scaletta, che partiva da "Jumpin’ Jack Flash" e arrivava a "Street Fighting Man", passando per "Brown Sugar" e una versione acustica di "Prodigal Song". All'evento, che due giorni prima si era tenuto al PalaEur di Roma, assistettero 4-5mila fortunati per sessione. E fu il macello, come da tradizione di quegli anni".
Mentre fuori si assiste ai 'soliti' duri scontri fra autoriduzionisti e polizia, dentro al palazzetto Watts, che nel 2016 venne posizionato da un'autorevole rivista al 12° posto fra i migliori batteristi del mondo, si presenta con la maglietta del Milan. Chissà, forse citando proprio lo storico brano degli Stones "Sympathy For The Devil".
Il doppio concerto verrà poi ricordato in “Street Fighting Men In Milan” (1970), bootleg di cui sono state stampate solo 1000 copie. In totale, gli spettatori che assistettero ai due 'live' furono 12mila. (fonte: MilanoReporter)

martedì 16 marzo 2021

Cover musicali: il lungo viaggio di "Bitter Sweet Symphony"

Il disco dell'Andrew Oldham Orchestra con "The Last Time"
Le 'cover' in ambito musicale, ovvero le 'copie' di brani già esistenti, in sé e per sé non mi sono mai piaciute, simbolo di scarsa creatività, spesso portate sul palco da gruppi con scarsa inventiva e alla caccia del facile applauso. Discorso molto diverso, quando le 'cover', rivedute e corrette, aggiungono una nuova veste al vecchio brano, cambiandone, se non addirittura stravolgendone il senso musicale.
E' quello che è successo in questo primo clamoroso caso che propongo ai miei lettori. Quello della celeberrima "Bitter Sweet Symphony" dei The Verve, divenuto forse uno dei brani più celebri degli anni '90, che in pochi però sanno essere una 'cover' di un pezzo della The Andrew Oldham Orchestra, "The Last Time", a sua volta riarrangiamento solo musicale di una canzone dei Rolling Stones con lo stesso nome. Del resto la AOO altro non era che un progetto di Andrew Loog Oldham, originale produttore degli Stones, e con la AOO hanno suonato, nel corso degli anni, via via anche alcuni membri delle 'pietre rotolanti'.
Infine la 'cover' vera e propria, quella che, fra le tante, ho ritenuto la più bella, originale e in grado di arricchire quella storica dei Verve: merito della giovane sudafricana (di nascita australiana) Melisa Bester, in arte E^ST, che, secondo i testi sacri, viene definita come una cantautrice di musica 'Indie pop' ed elettronica,  e nella cui versione è riconoscibile un lento declinare verso un pezzo dei Massive Attack.

1966 - The Andrew Oldham Orchestra

1997 - The Verve

2015 - E^ST

martedì 16 giugno 2020

Indro Montanelli, i Rolling Stones e Mandy Smith, ecco cos'hanno in comune

Mandy Smith nel 1987 al Festivalbar
Divertente la dissertazione che Cristian Raimo fa a spada tratta offendendo la memoria di Indro Montanelli, da lui definito stupratore, razzista e chi più ne ha più ne metta. Una scenetta gustosa che, anche fosse posta su basi corrette (la violenza perpetrata dal famoso giornalista verso una ragazzina di 12 o 14 anni, le fonti si dividono), è stata poi funestata dalla tragicomica sceneggiata dello scrittore / professore, obnubilato e annebbiato dal pensiero 'sinistro' del politicamente corretto. Una brutta pagina che gli resterà appiccicata, inchiodandogli l'immagine di squadrista ideologico.
Rimosso Raimo poco dopo mi sono imbattuto, sempre su Rete 4, su una retrospettiva del Festivalbar, trasmissione di dubbio gusto all'interno della quale veniva trasmessa (in rigoroso playback) musica di basso profilo e alte vendite commerciali.
La vicenda Montanelli rimane però attuale visto che, fra le prime ospiti, appare Mandy Smith (Festivalbar 1987), figura procace e look da consumata pornostar. Mosso a curiosità, scorro veloce le informazioni su di lei elargite da Wikipedia: londinese, classe 1970, al momento della messa in onda della trasmissione è ancora minorenne: appena 17 anni. Eppure, la bella Mandy ha un vissuto già degno di una biografia da 400 pagine: quattro anni prima, alla precoce età di 13 anni, la stessa età della sposa di Montanelli, ma non nella stessa Eritrea degli anni '40, era stata prima l'amante e poi (nel 1989) la moglie di Bill Wyman, bassista dei Rolling Stones, all'epoca 47enne. Il rapporto fra i due, con lei ancora bambina (forse), viene definito da Wikipedia 'relazione sentimentale'. Teneri. Sempre minorenne, Mandy venne 'notata' da Pete Burns, cantante del gruppo dei Dead or Alive, che l'aiutò nella produzione dei suoi primi due singoli, "I Just Can't Wait" e "Positive Reaction".
Autentica 'perla' in questa storia, il fatto che, nello stesso periodo, il figlio di Wyman e la madre di Mandy rimasero a loro volta coinvolti in una relazione sentimentale, interrotta prima del matrimonio. Applausi. Sipario.