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sabato 3 ottobre 2020

Donnarumma sempre campione grazie alla stampa 'sdraiata'

Il sottotitolo dell'articolo di "Tuttosport"
Prosegue in maniera oltre i limiti della credibilità la serie di peana nei confronti di Gianluigi 'Gigio' Donnarumma, eletto a simbolo di un ipotetico 'nuovo Milan' nell'anno del suo esordio, al termine di una stagione disputata su livelli eccezionali, specie per un giovane esordiente.
Giocatore 'rapito' da Mino Raiola in qualità di procuratore, Donnarumma viene pagato a peso d'oro dal Milan, un contratto 'monstre' cui si aggiunge quello del fratello, panchinaro di lusso e addirittura terzo portiere della squadra, con tanto di un milione l'anno per non giocare praticamente mai.
Per questo ogni esibizione di 'Gigio' viene eletta a perfetta e trionfale e i suoi errori, frequenti e talvolta clamorosi e decisivi, vengono ignorati e frettolosamente dimenticati.
Capita così che il Milan disputi una delle sue peggiori partite della storia, in trasferta, in un autentico clima da bufera, contro i portoghesi del Rio Ave, rimediando a tempo scaduto un rigore che porta i rossoneri alla qualificazione ottenuta, però, solo dopo una interminabile serie di tiri dal dischetto. L'ultimo tiro dei portoghesi viene affidato a tale Santos che ormai, dopo quasi un quarto d'ora di rigori tirati in maniera quasi perfetta nel mezzo di una bufera, ciabatta malamente in fase di svenimento. Miracolo! La stampa pareva non attendere altro. I titoli entusiastici su Donnarumma 'salvatore della patria' si sprecano. in maniera incomprensibile, anche perché la serata 'donnarummiana' non era sata una tragedia ma nemmeno una bellezza: i due gol subiti dal Milan, definiti 'imparabili' da tutta la stampa, potevano essere parati, per lo meno da chi percepisce uno stipendio faraonico da migliore portiere del mondo. Il pareggio dei portoghesi è un gran tiro sì, ma piuttosto centrale, su cui Donnarumma vola senza effetto. Il loro vantaggio è frutto di una azione angolata, anche troppo, e un tiro ravvicinato che mogio si infila in diagonale di fronte a un portiere spaesato e in stile 'gatto di marmo'. Sui rigori, poi, va detto che mai si è visto l'estremo rossonero così poco reattivo, praticamente sempre spiazzato, mai in grado di pararne uno a parte uno, in effetti sì, ma poi incredibilmente deviato nela propria porta in una sorta di incredibile e goffo autogol. Donnarumma è poi andato a calciarne uno, di rigore, tirandolo malamente sopra la traversa e dimostrando così, per l'ennesima volta, di non possedere il 'piede'. Infine il rigore parato, quello vero, un dato quasi inevitabile in una serie dal dischetto, frutto più dell'errore di Santos e della legge dei grandi numeri che di una reale intuizione.
Della stampa 'che conta' solo "Il Giornale", con Franco Ordine, pur senza motivazione scritta, affibbia al portierone milanista un bel '5' in pagella.
Per "La Gazzetta dello Sport", invece, è da '7' con una spiegazione roboante: "stavolta si supera con la sua specialità: parando l'ultimo rigore". Meglio di lui solo il volenteroso Saelemaekers, che pure peraltro si prende un '7'. Meglio perché, quindi?
"Tuttosport" si spreca già nel sottotitolo, con un "Immenso SuperGigio, eroe nella bufera". Voto: '6,5', ma un 'immenso' non sarebbe valso un '8' a questo punto?
Per il "Corriere dello Sport", infine, 'Gigio' si merita pure '7', con la laconica spiegazione di "Prende due gol difficili da ribattere, ma para il rigore decisivo". Quindi il merito, in questo caso, va tutto sl penalty più sbagliato da Santos che parato dal portiere rossonero.
Va detto però che, per lo meno il Corsport ha avuto il buon gusto di non inserire Donnarumma nel titolo e nel sottotitolo, dando i reali meriti della qualificazione a chi, appunto, se li merita: "Calhanoglu salva i rossoneri nei supplementari - Il penalty decisivo lo mette a segno Kjaer". E basta, per favore.

mercoledì 13 maggio 2009

Popolo italiano, il cialtronismo del non stare zitto

Usi e costumi di un popolo cialtrone, quello italiano. Il popolo dei ‘furbi’ e dei furbetti, ma che riesce a sputtanarsi per molto meno. Prendete l’inno nazionale, suonato durante la presentazione di Lazio-Sampdoria, al momento di scena all’Olimpico, finale di Coppa Italia: un evento, una di quella serate che in altre nazioni, basta salire di latitudine, sarebbero state occasione di festa, di incontro, magari scambi di sciarpe, foto davanti al Colosseo con i tifosi delle due squadre a passare comunque una giornata indimenticabile. Chissà perché mi vengono in mente i tifosi del Celtic a Siviglia quando, nella finale di Coppa Uefa, poi persa con il Porto, invasero festosamente la città e, malgrado il ko, se ne andarono nel giubilo. Sia ben chiaro, a me dell’inno frega poco assai, la Patria con la ‘P’ maiuscola mi ricorda tanto gli uomini con i baffoni alla Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra, però c’è il rispetto, o meglio, manca il rispetto per un sentire comune, per un reciproco volersi bene, per non fare la solita figura barbona che l’Italia si è francobollata addosso dal suo ingresso (e prima ancora) in Europa. Beh, ma perché sto sproloquiando? Perché, al solito, eppure ho avuto ancora la forza di sorprendermi, durante l’inno italiano nel prepartita, ognuno dei 65 mila presenti ha cantato quel che ha voluto, per un gran baccano fatto di insulti, bestemmie, e mischiato nel frastuono, pure qualche volonteroso propenso all’amor di patria.

Una bella figuraccia, per un paese che ha bisogno di ‘serrare’ i tifosi in trasferta in apposite gabbie, perché sono troppo ‘bestie’ per essere lasciati liberi, quando in un qualsiasi temutissimo Celtic-Rangers, guerra di religione autorizzata, ognuno dei tifosi dà di faccia al campo senza alcuna limitazione tranne quella della propria educazione. E’ un po’ lo stesso discorso dei ‘minuti di (non) silenzio’ che, in quasi tutte le parti d’Italia, si trasformano regolarmente in lunghi applausi perché, quando superiamo, noi italiani, le cinque persone di numero, non siamo capaci di stare muti ma, come tanti pecoroni, abbiamo sempre bisogno di quel ‘fastidioso’ commento in più. E’ in questi casi soprattutto, non in altri tanto sbandierati dai giornali, che spesso mi vergogno di essere italiano, popolo un tempo di santi, navigatori ed eroi, ora più spesso di cialtroni sguaiati a caccia del proprio quarto d’ora di gloria, magari attraverso un provino in tivù.