Cari lettori,... mio dio che incipit... diciamo pure che di questi tempi devo fare le cose un po' di fretta e non posso fermarmi come vorrei, ma vi assicuro che si preparano grandi cose all'Urlo del Diavolo... bene, stasera all'Air Canada Center è andata in scena la 'Battle of Ontario', ovvero la sfida fra Toronto Maple Leafs e Ottawa Senators.Io, pur giunto con una decina di minuti di ritardo (oggi al Corriere Canadese ho realizzato la mia prima accoppiata di pagine, mica pizza e fichi...). I Senators hanno vinto in maniera più larga di quanto non dica il sofferto 2-1 (0-0, 2-0, 0-1) finale, con reti di Donovan (sospetto bastone alto), Alfredsson (su rigore per fallo su Michalek lanciato a rete) e Stajan in power-play per i Maple Leafs, co
n splendida parata salvarisultato di Leclaire a pochi secondi dalla fine. A fine partita sfogo del coach di casa Ron Wilson (ma con la squadra che ha c'è poco da sfogarsi...), mentre da queste parti si parla sempre del possibile ritorno al di qua del confine dei Phoenix Coyotes (ex Winnipeg Jets): possibili città ospitanti Hamilton e, guarda caso, proprio Toronto...
(foto di Massimiliano Bordignon)
Oggi ancora un evento sportivo, prima della consueta cena al Drake Hotel (dove la cameriera della foto dell'altro articolo ha ora una meravigliosa pettinatura a caschetto): sono andato a vedere, al Ricoh Coliseum, nella zona dell'Exhibition Center (quella della fiera, per intenderci), la sfida di hockey ghiaccio fra Toronto Marlies e Hamilton Bulldogs, una 'battaglia dell'Ontario' in piccolo, relativa alla lega AHL (Americ
an Hockey League), la principale 'minor league' nordamericana, la prima affiliata all'NHL. Un paio di migliaia i presenti, per quella che era comunque la 'prima' stagionale per i Marlies, 'farm-team' dei Toronto Maple Leafs.Gara bella e veloce, non mi l'aspettavo così qualitativa... alla fine, l'hanno spuntata i Marlies per 3-2 dopo gli shootout (4-2 il punteggio dei rigori), ma la vera 'chicca' è rappresentata da due eventi a cui ho assistito: una grande doppia parata del portiere di Toronto Joey MacDonald (prima a tu per tu con l'attaccante avversario, poi sulla ripresa di un secondo mettendo il bastone a mezza altezza
sulla conclusione a botta sicura), quindi una 'fight' meravigliosa fra Richard Greenop (Marlies) ed Eric Neilson (Bulldogs), lunga, appassionante e senza esclusione di colpi. Per quasi un minuto i due se le sono suonate di santa ragione a pugni nudi poi, incredibilmente, una volta separati a stento dagli arbitri, si sono sorrisi e si sono reciprocamente dati un buffetto! Non avevo mai visto nula di simile su un campo da hockey... unico!
(foto di Massimiliano Bordignon)
La mia vita qui a Toronto sicuramente non mi dispensa, nella propria spensieratezza della lontananza dall'Italia, di fermarmi un attimo e commentare da lontano la triste vita in cui si dibatte il mio paese, uno degli ultimi al mondo in cui sia consentito impunemente di sventolare bandiere recanti il mortale disegno della falce e del martello.
Di fianco a questa cupa immagine di sangue e distruzione sono sfilati in Piazza del Popolo a Roma un corteo di presunti giornalisti e intellettuali, alla ricerca della difesa della propria libertà (leggi: conquistare il potere perso alle elezioni con ogni mezzo, basta che non sia democratico). Un gruppo di soldatini fanatici, per fortuna chiara minoranza, costruito attraverso mezzo secolo di 'militanza militare' nelle truppe della sinistra 'komunista', che ha ammorbato le nostre strade cercando di fare credere al popolo di rapresentare qualcuno che non fosse il proprio continuo fallimento storico ed elettorale. Il finto martirio di questa macabra stirpe cresciuta all'ombra della dittatura cattocomunista che ha governato l'Italia fin dal dopoguerra non riuscirà comunque a passare. Per quanto idiota, il popolo italiano, nell'antro del proprio scranno elettorale, ha già cacciato il comunismo e le sue viscere infette lontano dall'Italia, lontano dal mondo, lontano dalla storia.
Toronto come Topolinia, ovvero dove la figa, come le razze, è davvero di tutti i tipi... scusate, ma questo intervallo andava proprio fatto... parlarne mica è reato, anzi... piuttosto è segno di 'apertura mentale'... chi mi conosce poi sa che mi vogliono mettere in testa di fsare il bravo ragazzo (peraltro senza quasi mai riuscirci...).
La breve digressione è dedicata ad Ada, una sanguemisto di diverse e più 'nidiate' di diverse etnie, e tanto più sexi per questo... Lavora al Toronto Blue Jays shop del Rogers Center, ovvero lo Skydome, della città canadese... credo di avere fatto la fila tre volte per poterne assorbire il sorriso... ho comperato le pile, un poster e un'altra vaccata (forse una palla da baseball). Lei però è rimasta lì, ferma e professionale, con il suo sorriso ammiccante e seducente... sarà per un'altra vita...
Ripropongo su questo mio blog uno degli ultimi miei post pubblicati da Milano 2.0 e che devo dire mi piace parecchio...Un pozzo senza fondo. Questa la crisi senza ritorno di un Milan umiliato a casa propria dal primo Zurigo di passaggio. Z come Zurigo, ma anche Z come zero gol (non) realizzati dall’attacco rossonero. Ma non vorrei correre il rischio di dare addosso a questo o a quel giocatore, cercando un capro espiatorio che, tempo il prossimo (non lontano) rovescio in campionato, sarà prontamente trovato nell’inesperienza tecnico-tattica di Leonardo. Il problema del Milan sta nel manico, in quella società anemica che ha ormai svilito di significato e di passione una squadra che non aveva bisogno di ulteriore gloria per esprimere amore, visto che in cinquantamila l’avevano seguita fino in Serie B, in una partita, pure persa in casa, ma contro la Cavese.Si dirà, era Serie B, ma io c’ero, e ricordo. Ricordo l’inesperienza, quella sì, di una dirigenza posticcia, che in punta di piedi si susseguiva a ritmi folli e un po’ paesani, dai Duina ai Pardi, dai Lo Verde ai Farina. Storie brutte, alcune comiche. Ma era una favola di popolo, di quelle che si raccontano al bar, fra un bicchiere di vino e un panino con la mortadella. Questo era il Milan, la squadra della gente di Milano, quella dei ‘casciavitt’, che mischia bestemmie alla foto di Gianni Rivera. Alle bandiere che non cambiano, che non si vendono, e che magari parlano la nostra lingua, giusto per capirsi meglio.La fine ingloriosa di questa società in doppiopetto invece, dà tanto più fastidio per quanto inutilmente si sia tentato di negarla, cacciando la polvere sotto il letto, con l’orchestrina del Titanic a scivolare sempre più mestamente ma inesorabilmente verso il basso.
Questa squadra, ma soprattutto questa dirigenza, ha perso il gusto della dignità, autoproclamandosi ‘più vincente al mondo’, spargendo e spendendo danari senza fine, creando una ‘corte dei miracoli’ che, allo stesso modo che oggi, portò alla scomparsa, nei primi anni ’90, della Polisportiva Milan. Un gruppo vincente, certo, che portò prima all’innalzamento e poi al dissolvimento di club storici entrati nell’orbita Milan come l’Amatori Milano (rugby), il Milan Baseball (baseball), il Milan Gonzaga (volley) e i Devils (hockey ghiaccio). Allora la cosa passò sotto silenzio. Curiosamente, e abbastanza inevitabilmente, anche allora c’entrava Berlusconi che, dovendo entrare in politica, recise quei rami secchi che non portavano voti e sottraevano risorse economiche.Allo stesso modo il Berlusconi di oggi non ha più bisogno del Milan che anzi, se continuerà in questo modo, si trasformerà presto in un boomerang.Di riffa o di raffa, per un po’, pare sia riuscito anche a tenersi buona una curva che pure ha perso molto del suo smalto (lo striscione dell’’amore litigherello’ vale come la sconfitta in casa con lo Zurigo), ma ormai lo sfascio è talmente sotto gli occhi di tutti che è impossibile non reagire. Reagire ai soldi buttati dalla finestra, reagire ai rinnovi di contratto assurdi, ingiustificabili e costosi (Dida e tutta una serie di personaggi che a quest’ora della notte, per loro fortuna, non mi sovvengono), reagire alle campagne acquisti autolesioniste e vissute braccio a braccio con prezzolati ‘esperti’ di mercato (Bronzetti) dopo che a
quelli veri è stato dato quasi il benservito, reagire alla mancanza più totale di uno straccio di progetto legato allo sviluppo delle giovanili (quanti giovani hanno esordito in prima squadra per RIMANERCI?), reagire a un costosissimo Milan Lab che i giocatori sembra distruggerli invece che curarli (Borriello, ma non solo), reagire a scelte deliranti su chi debba essere il successore di, badate bene, nell’ordine Liedholm, Cesare Maldini, Rivera, Baresi e Paolo Maldini (mezzo secolo di storia): Ambrosini!, reagire a chi ormai vede nel Milan solamente uno spunto per passerelle politiche, reagire a una curva che ormai non rappresenta più nemmeno sé stessa, reagire a un teatrino dell’orrido che ha rischiato seriamente di mandare questa squadra in Serie B per motivi extracalcistici ma che, se le cose proseguiranno di questo passo, potrebbe riportarcela sul campo. Allora però, lo ricordo bene, perché io c’ero, c’era la passione della gente a sostenere questa squadra. Ora quell’amore si è perso, ucciso dagli spot pubblicitari di chi ha fatto di questa fede un ricettacolo per un mero tornaconto personale.