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sabato 9 ottobre 2021

L'Europa si sveglia: basta accoglienza, alzare muri e filo spinato

Il muro di Berlino: abbatterlo fu un bene, rialzarlo pure
Un deciso stop alla politica dell'accoglienza e un ritorno al passato, quello inevitabile del controllo attento del territorio, del filtro attraverso le frontiere, quelle esistenti fino a pochi anni fa, non secoli, dove l'autorità di una nazione si esprimeva attraverso la sorveglianza dello spazio interno ai propri confini.
E così non è stata la solita Ungheria definita 'razzista e fascista' di Viktor Orban a chiedere e pretendere dall'Europa la libertà di poter realizzare nuovi strumenti per contenere l'irrefrenabile invasione di massa che tanto gioco fa ai partiti della Sinistra demagogica, che farebbe (e fa) carte false per accogliere gente senza patria né nome, tutti genitori (attuali o futurì) di una nuova imminente classe proletaria, inesauribile serbatoio di voti (una concezione errata, a mio avviso, in quanto la maggior parte di questi 'migranti' sono islamici, laddove l'Islam supera di gran lunga e soppianta l'ideologia comunista).
I nuovi strumenti, nel concetto pratico dei Paesi richiedenti, non sono vuote leggi volte a rimanere sulla carta, mentre orde di clandestini continuano a macinare chilometri accatastandosi e superando i confini nazionali, ma solide e resistenti mura con filo spinato, unica protezione contro chi cerchi di invadere uno Stato sovrano.
Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia (nell'elenco figurano tutti i Paesi del Gruppo di Visegrad) hanno scritto una lettera in comune e l'hanno indirizzata alla Commissione europea e alla presidenza di turno del Consiglio UE, detenuta dalla Slovenia, che non ha voluto sbilanciarsi sui contenuti ma che, in sostanza, si è accodata alle richieste diventando, in pratica, il tredicesimo anello della compagnia.
E l'Unione Europea, decisamente spiazzata sia da questa richiesta che dalla contemporanea decisione della Corte di Varsavia di rendere il diritto polacco superiore a quello continentale, ha risposto debolmente, come suo costume, incapace di assumere posizioni decise. In Italia le risposte sono state, al solito, vuote e demagogiche. Basti ascoltare le parole del cosiddetto 'leader' dell'ormai semi scomparso Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte: "Bisogna intervenire con una gestione europea". Vorrei chiedere all'ex presidente Conte cosa cazzo voglia dire 'gestione europea' dei presunti 'migranti', se non accogliere altri islamici e sbandati vari entro i confini di un'Europea ormai etnicamente sconvolta e che, assolutamente sì, ormai è obbligata ad assumere una risposta militare verso l'invasione.
L'unico appunto, forse inevitabile, da parte dell'UE, la puntualizzazione che non si potranno usare fondi europei per la costruzione delle barriere di contenimento, come richiesto dai '12'. Ma già l'inevitabile abbassare la guardia e alzare le mani da parte di Bruxelles di fronte all'inevitabile rappresenta un grande successo per chi voglia fare tornare l'Europa un continente abitato da genti etnicamente legate a un concetto di cultura e democrazia univoco, senza inquinamenti di etnie abituate alla sopravvivenza tramite la violenza, lo stupro e il ladrocinio quotidiano.

Dalla Polonia un coraggioso 'no' all'invadenza del diritto europeo

Julia Przylebska con il presidente polacco Andrzej Duda
Un chiaro e forte 'no' contro i tentativi di sopraffazione che, giorno dopo giorno, l'Europa cerca di operare nei confronti della sovranità degli Stati che la compongono. La risposta, una luce di speranza per tutti i Popoli europei, arriva ancora una volta dall'Est. Non dall'Ungheria di Viktor Orban, ma dalla Polonia, in cui la Corte costituzionale di Varsavia, guidata dalla giudice Julia Przylebska, ha decretato come alcuni articoli dei Trattati dell'Unione europea siano 'incompatibili' con la Costituzione dello Stato polacco e come le istituzioni comunitarie agiscano 'oltre l'ambito delle loro competenze'.
Un'affermazione rivoluzionaria e che spiazza completamente l'Unione Europea, minando alle basi il colosso d'argilla continentale, che troppe volte è entrato nella vita quotidiana dei suoi Stati membri, senza comprenderne usi e reali necessità.
Ora Bruxelles è pronta a usare l'arma del ricatto per fare recedere Varsavia da quelle che vengono considerate, forse anche giustamente, come posizioni di 'Polexit'. In gioco ci sono infatti 58,7 miliardi di euro fra prestiti e sussidi del Next Generation Ue, tutti destinati a Varsavia, cui però l'Unione Europea non ha ancora dato il via libera.
Nel frattempo, un altro segnale importante è arrivato da un altro dei Paesi del Gruppo di Visegrad, l'Ungheria, nelle parole della ministra ungherese della Giustizia, Judit Varga: "Continueremo a resistere alla pressione della lobby Lgbtq. Poiché alcuni Stati hanno insistito strenuamente affinché gli attivisti Lgbtq fossero ammessi nelle nostre scuole, io e il collega polacco abbiamo dovuto usare il veto".

sabato 3 luglio 2021

Orbán: "Nessuno può dirci come vivere le nostre vite"

Viktor Orbán parla ai giovani ufficiali (foto Twitter)
Proteggere le famiglie ungheresi, ma soprattutto impedire che gli altri, intesi come popoli e Paesi dicano al popolo ungherese come vivere. Altrimenti, sottolinea il leader magiaro Viktor Orbán, "we will perish".
Lo ribadisce il sito About Hungary, in cui si racconta la giornata che il primo ministro ha trascorso durante la giornata inaugurale trascorsa alla Facoltà delle Forze dell'Ordine, parte integrante della National University of Public Service di Budapest.
"Mentre ci sono città in Europa dove le persone non possono più sentirsi al sicuro - ha detto Orbán nel suo discorso ai giovani ufficiali, uomini e donne in divisa egualmente belli nel loro splendore mitteleuropeo -, l'Ungheria rimane uno dei luoghi più sicuri in Europa dove non solo la maggioranza, ma tutte le minoranze possono vivere in pace".
E ancora, il primo ministro ungherese ha aggiunto che il compito delle neolaureate forze dell'ordine dovrà essere quello di proteggere l'Ungheria e garantire la sicurezza delle famiglie ungheresi.

mercoledì 15 luglio 2020

Elezioni in Polonia, vince Duda e la linea di Visegrád

La prima pagina de "Il Corriere della Sera" di lunedì 13 luglio
Andrzej Duda ha vinto di misura, ma ha vinto. Un successo fondamentale che l'ha confermato presidente della Polonia.
Duda, esponente tipico del 'sovranismo' in stile Visegrad è stato rieletto al ballottaggio contro il sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski, con il 51,2% delle preferenze, con lo sfidante fermatosi al 48,8% delle preferenze, una vittoria risicata come lo era stata quella precedente, ma con un numero di votanti nettamente superiore a favore del vincitore, quasi due milioni in più rispetto al 2015.
Un distacco minimo, racconta l'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che ha tenuto la Polonia (e l’Europa) con il fiato sospeso, per quello che in molti hanno definito l’appuntamento politico più importante per il Paese dalla fine del comunismo. Un esito che riflette l’immagine di una nazione comunque divisa in due. Se l’ovest e le grandi città hanno votato in massa per l’europeista Trzaskowski, candidato della ‘Coalizione civica’ dei partiti liberali, le regioni rurali dell’est si sono confermate il bastione che ha consentito a Duda di ottenere la rielezione.
Per la commissione elettorale si è trattato delle elezioni più partecipate di sempre: al primo turno l’affluenza era stata del 63% degli aventi diritto, mentre ieri a recarsi ai seggi è stato il 68,8%. Un record storico, tra i più imponenti dal 1989.
Nonostante l’impatto economico del coronavirus, la ricetta conservatrice del presidente, formalmente indipendente ma sostenuto dai nazionalisti del Partito Diritto e Giustizia (PiS), fondato dai gemelli Kaczyński, che ha la maggioranza in Parlamento dal 2015, è riuscita a convincere ancora una volta gli elettori polacchi.
Forte di una campagna elettorale particolarmente aggressiva nei confronti della comunità LGBTQ, in nome della presunta difesa di “valori nazionali e cristiani” Duda ha fatto breccia nell’elettorato più conservatore delle regioni orientali e a maggioranza rurali. La mappa del voto ricalca quindi il profilo di un Paese diviso, con caratteristiche economiche, culturali e storiche diverse tra ovest ed est.
Dall'altra parte Trzaskowski incarnava la classicia figura filoeuropeista e progressista, tanto cara ai magnati di Bruxelles, che sino alla fine hanno incrociato le dita sperando nella vittoria del loro candidato prediletto, fautore di una linea durissima verso la Russia.
La rielezione di Duda costituisce un'importante vittoria per il partito di governo (PiS). L’ordinamento polacco, infatti, assegna al Capo dello Stato un veto forte e ora l’esecutivo non ha più motivo di temere ostacoli alle riforme che più volte lo hanno posto in rotta di collisione con le istituzioni di Bruxelles. Se l'opposizione controlla ancora il Senato, infatti, la Camera Bassa (Sejm) può ribaltare le obiezioni mosse dai senatori e a quel punto solo un veto presidenziale ha il potere costituzionale di bloccare l’iter legislativo.
Durante una campagna elettorale dai toni particolarmente accesi, il leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski – considerato da molti il leader de facto del paese –, ha suggerito che il Governo potrebbe mettere sotto controllo i media stranieri, troppo critici nei confronti dell’esecutivo.
Per la prima volta dal 1989, i due candidati alla presidenza non hanno partecipato ad alcun dibattito televisivo in comune. Incapaci di convenire su un’unica emittente, boicottandosi e rinfacciandosi l’un l’altro di intervenire solo in trasmissioni di parte, Duda e Trzaskowski hanno evitato ogni confronto diretto davanti alle telecamere.
Da parte degli sconfitti ci sono state le classiche accuse di irregolarità del voto. In molti hanno lamentato di non aver ricevuto le schede elettorali per tempo e di non essere riusciti a votare. In totale si tratta di circa mezzo milione di elettori, il cui voto però difficilmente avrebbe potuto ribaltare la situazione.
Matteo Tacconi, giornalista, commenta: "Il voto conferma che la Polonia è spaccata. Quasi due paesi in uno. Duda è prevalso nelle aree rurali, con percentuali molto alte nella fascia est del territorio. Il suo bacino elettorale corrisponde alla Polonia più conservatrice, più influenzata dalla chiesa cattolica, più scettica verso l’Europa e più lenta, a livello di passo economico. Al contrario, Trzaskowski ha vinto nelle regioni dell’ovest e in tutte le grandi città: Varsavia, Cracovia, Danzica, Poznan, Breslavia. La Polonia che lo ha votato è quella parte di Paese più prospero, più aperto verso l'Europa e i suoi paradigmi liberali. Il voto regionale si conferma un ottimo filtro per capire il quadro politico polacco e la sfida tra le due 'tribù' – populisti e liberali – che si contendono il paese da 15 anni".
Prosegue Tacconi: "A proposito di città, il prossimo obiettivo dei populisti e di Duda, fautori di un potere centrale forte, potrebbero essere i poteri dei sindaci. Diritto e Giustizia (PiS) controlla parlamento, presidenza, magistratura, radio-tv di Stato. A livello locale, però, non riesce a sfondare nelle grandi città. Sono tutte a trazione liberale. Da cui questa ipotesi, per ora un 'rumor', sul taglio del potere dei sindaci. Cosa che viene portata avanti, proprio ora, nell’Ungheria Viktor di Orban, a cui le leadership polacca in parte si ispira".

L'articolo di "Libero"

L'articolo de "Il Manifesto"

L'articolo de "La Repubblica"

L'articolo de "La Verità"