lunedì 15 giugno 2020

"Todo Modo", l'interpretazione senza sconti che Volonté dette di Aldo Moro

Gian Maria Volonté, qui e sotto, in versione Presidente M
E' notte, e non potrebbe essere altrimenti, mentre osservo estasiato alcuni frammenti di "Todo Modo", film del 1976 diretto da Elio Petri, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia.
Dalla Democrazia Cristiana ad Aldo Moro, passando per incredibili precognizioni di un futuro che sembra già scritto, fra derive dispotiche sovrannaturali di origine berlusconiana e una spolverata millenarista di coronavirus latente, il film è uno sguardo impietoso sulla vita politica della Prima Repubblica, una finestra aperta sul potere assoluto di una classe eternamente presente, che va oltre l'aspetto del mero potere fisico.
Osteggiato, dimenticato, scomodo. Soprattutto dopo, ovviamente, il rapimento e l'assassinio di Moro. Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni e Mariangela Melato sono i tre capisaldi di una gemma che non è nemmeno difficile da capire ma che tale fu considerata, perché evidentemente permeata di una grottesca ma feroce condanna non solo della DC, ma di quella 'partitocrazia' ambigua a supporto della quale Moro cercò di trovare una 'sintesi' attraverso l'alleanza con il Partito Comunista Italiano.
Il nome di Moro non è mai enunciato durante il film, ovviamente, ma il Presidente M è lui, una figura ripugnante di beghinismo cattolico, mischiata a un millenarismo vissuto in sofferta preghiera, riconoscibile a quasi cinquant'anni dalla morte grazie all'incredibile bravura di Volonté. Semplicemente immenso, totalmente dissacrante. L'immagine impietosa di Volonté-Moro sfocia nella bestemmia empia rivolta a un personaggio poi santificato dalla storia ufficiale.
Quella stessa storia che ha prima prodotto la DC e che dalla DC è stata scritta, a uso e consumo di quel mondo e di quella classe che "Todo Modo" descrive in maniera perfetta.


Aldo Moro, figura su cui è imperniata la critica immagine del Presidente M