giovedì 18 giugno 2020

India e Cina, sanguinosi scontri sul confine himalayano

Una cartina dell'area incriminata
India e Cina una contro l'altra, in uno scambio armato 'caldo', che ha provocato decine di morti lungo il confine himalayano. L'argomento è stato approfondito dall'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) di Milano, che, in una sua newsletter, ha riepilogato i fatti.
I soldati indiani uccisi dai militari cinesi sarebbero almeno 20, negli scontri avvenuti nella regione del Ladakh: si tratta dell'incidente più grave dal 1975 nel territorio conteso, fra le catene del Karakorum e dell’Himalaya.
In un primo momento si era parlato di tre soldati uccisi ma il bilancio è stato aggiornato dopo che altri 17 militari indiani sono morti in seguito alle ferite riportate.
La tensione tra i due giganti asiatici è alle stelle e il ministro degli Esteri indiano ha accusato Pechino di avere volontariamente violato un accordo raggiunto nelle ultime settimane, in cui le due potenze si impegnavano a rispettare la ‘Linea attuale di controllo’ (Lac) nella valle di Galwan, a circa 4000 metri sul livello del mare.
Pechino ha prima accusato i militari indiani di avere provocato l’incidente attraversando il confine e poi buttato acqua sul fuoco concordando sulla necessità di "calmare le tensioni" il prima possibile. Entrambe le parti avevano confermato che non c’è stato scontro a fuoco tra i militari e che i decessi sarebbero stati causati da scontri con pietre e bastoni.
La frontiera tra India e Cina non è un confine netto. Lungo gli oltre 3400 chilometri in comune, molte sono le zone contese e quelle teatro di scontri sporadici in cui i soldati si ritrovano spesso faccia a faccia. La divisione tra i due paesi, tracciata dagli inglesi nell’Ottocento, non è mai stata accettata né dalla Cina né dall’India. Dopo l’indipendenza, nel 1947, l’India rivendicò alcuni dei territori che i cinesi non avevano abbandonato, tra cui la valle di Galwan, teatro di schermaglie dalla fine degli anni Cinquanta. Nel 1962 un confine semi-ufficiale, la Linea attuale di controllo (Lac), fu stabilito dai due paesi che da allora si incontrano periodicamente per discutere la questione delle frontiere ma senza aver mai raggiunto un accordo. Lo scontro riguarda anche la costruzione di infrastrutture, strade, aeroporti e ferrovie, che potrebbero facilitare l’invio di rinforzi in caso di conflitto. Negli ultimi cinquant’anni, tuttavia, le schermaglie tra i militari dei due fronti non avevano provocato vittime. Fino a ieri.
Le tensioni nella zona hanno cominciato a riaccendersi agli inizi di maggio, con dei tafferugli tra i militari indiani e cinesi nei pressi del lago Pangong Tso. In quell’occasione alcune centinaia di soldati dei due fronti si erano tirati sassi e picchiati a bastonate sulle montagne tra il Ladakh, sotto il controllo indiano, e l'Aksai Chin, amministrato da Pechino e reclamato da New Delhi. Nelle settimane successive, la Cina aveva dispiegato migliaia di soldati lungo il confine, alimentando i timori di un blitz per prendere il controllo di alcune aree contese. L'incidente di ieri, oltre a minare il quinto ciclo di incontri ‘pacificatori’ tra le due potenze nucleari, riaccende i riflettori sul confronto armato per la supremazia di una regione, quella himalayana, contesa anche dal Pakistan, che controlla l'Azad Kashmir con l'appoggio politico e militare della Cina, interessata a portare avanti il ‘Corridoio economico Cina-Pakistan’ tra lo Xinjiang e il porto di Gwadar sul Mare arabico, fiore all’occhiello della Nuova via della Seta.
Una nota di Pechino pubblicata poche ore fa sembra confermare quello che gli osservatori più attenti dicono da giorni: Cina e India non vogliono che la crisi degeneri in un conflitto. I motivi sono diversi e tutti quanti validi. Intanto perché si tratta delle uniche due economie asiatiche che secondo le previsioni chiuderanno l’anno in positivo, e una guerra pregiudicherebbe la loro crescita già fortemente segnata dalla pandemia. Pechino poi, si trova alle prese con un nuovo focolaio di Coronavirus nella capitale, la gestione delle proteste a Hong Kong e le rinnovate tensioni nord coreane. Inoltre – fermo restando le dispute di confine – il commercio bilaterale con New Delhi è aumentato di 67 volte tra il 1998 e il 2012 e la Cina è il principale partner commerciale dell'India. Gli studenti indiani si riversano nelle università cinesi ed entrambe le parti tengono esercitazioni militari congiunte. “Né il Primo Ministro Narendra Modi né il Presidente Xi Jinping vogliono una guerra” dice al New York Times Ashley J. Tellis, “ma nessuno dei due può rinunciare alle proprie rivendicazioni territoriali”. Certo, se dietro lo scontro non si nasconde una volontà bellica ora si tratta di trovare una via d’uscita ‘onorevole’ per le parti in gioco. Il difficile sarà farlo davanti ad opinioni pubbliche nutrite da anni di retorica identitaria e sovranista, su cui entrambi i leader hanno costruito la propria scalata al potere.
A corredo della vicenda il commento di Nicola Missaglia, ISPI Research Fellow: "La Cina e l’India che da mezzo secolo litigano per un confine conteso non sono più quelle di una volta. Non ci sarà una guerra - prosegue Missaglia -, ma questa escalation è diversa delle tante schermaglie a cui i due giganti emergenti che un tempo disponevano di mezzi e risorse simili ci avevano abituati. Oggi siamo di fronte al corpo a corpo violento tra una superpotenza autoritaria in ascesa, la Cina, e una superpotenza democratica nascente, l’India, che malgrado la sua ovvia inferiorità economica e militare rimane pur l’unica nella regione in grado di contestare le ambizioni di Pechino".
Il docente dell'ISPI parla poi del collegamento fra la vicenda e il coronavirus: "La pandemia apre una stagione di nuove incertezze per l’una e per l’altra, ma soprattutto per due nazionalismi che hanno riposto una buona porzione della propria legittimità nelle prospettive di crescita economica messe in crisi dal Covid. Solo che la Cina oggi vede la luce in fondo al tunnel, mentre l’India è ancora in mezzo al guado con pochissimo margine di manovra. Un conflitto vero e proprio ora non conviene a nessuno: ma per Xi c’è forse momento migliore di questo per ricordare al grintoso avversario chi è il più forte? È il ritorno della hard geopolitics". (fonte: ISPI)

L'articolo de "Il Corriere della Sera"

L'articolo de "Il Giornale"