La morte di Unseld annunciata nell'articolo della Gazzetta |
Fu attraverso quella finale, magistralmente raccontata da Dario Colombo sulle pagine de "I Giganti del Basket", che mi innamorai della pallacanestro e della sua meravigliosa arte.
La bellezza dei playoff americani, siano essi di basket o di hockey, attraverso gli alti e i bassi di una sfida che può prolungarsi fino alla settima partita, si esaltò lungo le pagine di quel racconto.
Mi è rimasta sempre impressa la frase del coach di Washington, Dick Motta, che, sotto nella serie, caricò i suoi con la frase: "L'opera non è finita finché il soprano non ha smesso di cantare". E,in effetti, fu proprio così.
Di quell'epica sfida, a occhio, per quanto riguarda i Bullets, oltre al coach mi ricordavo proprio il gigantesco Unseld, con quella capigliatura 'da nero' così tipica degli anni '70, ed Elvin Hayes, pezzo di marcantonio, e forse pivot della squadra. Dall'altra parte, per i Sonics, indimenticabile Lenny Wilkens, ala, e Jack Sikma, biondo cecchino.
Allora, in Italia, tifavo per la Xerox Milano, che sarebbe poi sprofondata nell'anonimato dopo l'abbinamento Amaro 18 Isolabella. Così, a parte qualche appassionante finale tra Boston Celtics e Los Angeles Lakers, dell'NBA seguii pochissimo.
Ed è per questo che la finale che vide Wes Unseld protagonista mi rimane ancora più impressa.