"Vigil", un telefilm da cui era lecito attendersi di più |
Sei episodi, ciascuno di un'ora, nel più classico stile britannico, senza alcun 'sequel' (almeno si spera), con un crescendo rossiniano di tensione e colpi di scena che, fin qui, ne farebbero apprezzare sceneggiatura e impegno nel trovare sempre nuovi sprazzi di emozioni.
La trama, di per sé, è buona: le ricerche di una poliziotta a bordo di un sottomarino su cui si è perpetrato un delitto, fra ostacoli di carattere burocratico e militaresco. Con l'aggiunta, puramente casuale, di una claustrofobia che la poliziotta ha ereditato da un antico dramma personale.
Prodromi interessanti, corroborati da ottime interpretazioni, ma rovinati nel finale, come quasi sempre accade, da una trita e melensa ammucchiata di banalità e luoghi comuni, un impasto già visto alle latitudini anglo-sassoni, in piena rivoluzione 'culturale' (si fa per dire), fagocitate dalle stronzate del Me Too e del Black Lives Matter.
Per l'ennesima volta ci si trova di fronte a un pastone in cui viene mischiato il mondo LGBT, l'agiografia del 'negro buono' e la critica alla vecchia impalcatura delle regole su cui è impastoiata l'atrofizzata società politico-militare 'bianca' (aggiungiamoci pure un 'tossica', che di questi tempi non guasta mai).
A quando assisteremo alle vicende di un detective sposato con prole, magari iscritta a un istituto esclusivissimo, e che abbia votato per la Brexit? Nel frattempo, a fianco delle vicende sia pur interessanti del sottomarino 'maledetto', è stato fatto obbligo il sorbirsi della nascita dell'amore lesbico e puro (gli amori lesbici sono sempre puri...) fra la detective e la sua collega, dell'altrettanto pura protesta degli attivisti 'no nuke' di un campo simil zingaro nei pressi della base militare, con tanto di 'salopette' e pettinatura 'afro' con murales d'ordinanza, e delle presenze 'nere' di contorno, tutte positive: il comandante del sottomarino che, per quanto obbligato a seguire la scala gerarchica, ha esclusivamente a cuore la salvezza del proprio equipaggio, o l'altro poliziotto che, da terra, aiuta nelle ricerche l'amante 'trista' della protagonista.
Ovviamente tutti 'bianchi' i protagonisti negativi: l'assassino, le spie, il contrammiraglio dedito a biechi calcoli politici, perfino il politico che, sebbene in buona fede, ha combinato un casino che metà basta.
Insomma, alla fine di "Vigil" rimane ben poco, una sensazione sgradevole di ennesima 'presa per il culo' fatta a base di messaggi nemmeno troppo subliminali, per una trama che poteva essere risolta in una sola puntata, che ci ha invece portato a spasso per sei, illudendoci di trovare un gran finale che non si è mai rivelato.
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