Lo sguardo di Mario ‘Rino’ Pagotto punta lontano, verso quella vita così pazzesca che valica le dimensioni di un film. Non so dove sia ora questo roccioso terzino del Bologna, classe 1911, nato a Fontanafredda, oggi provincia di Pordenone. Gli auguro di essere ancora vivo, non ne ho idea, la sua età ora sarebbe di 98 anni. Per lui però di certo ci sono in carriera tre scudetti vinti, una partita in Nazionale e ben 212 gare con la maglia del Bologna, l’ultima delle quali nel 1947. Ma prima... prima c’è una grande storia, così incredibile che sembra quella di un film ben noto, ‘Fuga per la vittoria’, quello con Pelé e Sylvester Stallone ricordate? Dove dei detenuti in un campo di prigionia tedesco organizzano una partita di calcio contro una selezione nazista e, approfittando del caos creatosi dopo un loro gol, fuggono dal lager. Finzione, direte voi. Fino a un certo punto. Fino a quando non mi sono imbattuto nella storia di Rino Pagotto, da lui stesso raccontata a un giornale dell’epoca, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ho voluto riprenderla e parlarvene a mia volta.
E’ il 1943, la brigata alpina nella quale presta servizio militare Pagotto viene arrestata dai nazisti dopo l’’armistizio’ e deportata in massa. Il terzino del Bologna si trova così nel lager di Hoinstein. Vita grama, terribile, e ancora tradotte di disperati, che questa volta si fermano a Bialostok, Polonia. L’approssimarsi della fine del conflitto bellico (e dei russi), fanno però sgombrare in fretta il lager. Ognun per sé, compresi gli aguzzini tedeschi, in un fuggi fuggi generale di prigionieri e carnefici che si disseminano per tutta Europa. Il gruppo di Pagotto è composto da sette persone, che percorre una lunga odissea attraverso l’Europa, un viaggio a piedi verso casa che, sembra pazzesco, riporta i nostri futuri eroi proprio a... Hoinstein (!!!), divenuto nel frattempo centro di accoglienza e smistamento dei profughi. Si torna a mangiare, a indossare scarpe vere, si torna a sorridere, si torna semplicemente a... vivere. Ma ‘casa’, l’Italia, è ancora lontana, e così si sale nuovamente sulle tradotte, che portano il gruppo prima a Odessa, sul Mar Nero, quindi a Cernauti (l’attuale Chernivtsi), in Bucovina. Il gruppo di Pagotto nel frattempo si è ingrandito, a Cernauti ci sono oltre duecento italiani. Il campo non ha più nulla a che vedere con quello che era il lager nazista, si riesce anche a pensare sul come svagarsi. Per ‘Rino’ giocare al calcio è naturale, un modo per vivere, sognare e sentirsi a casa, tanto più che, strada facendo, ha incontrato altri deportati che, nella vita ‘normale’, facevano di mestiere il calciatore, seppure nelle cateogorie inferiori. La decisione di creare una squadra composta da prigionieri (calciatori) italiani è così presto fatta, e di seguito ecco la formazione: Colombo, Pagotto, Olivetti, Sassone, Trombetta, Canova, Alocco, Napolitano, Carneggi, Vasini, Tagliabue. In panchina: Corrado, Scazzosi, Fontana. Allenatore: Mariani. Commissario tecnico: Bertello.
E’ il pubblico del lager a fare da spettatore alle prime esibizioni della squadra che, con il passare del tempo, sarà chiamata ‘Quelli di Cernauti’; la spianata fra le baracche è il primo campo, mentre pure i prigionieri olandesi, greci e belgi creano le proprie rappresentative. Ma chi vince sempre è solo la formazione italiana, che incontra e batte anche la squadra locale della città di Cernauti, composta da professionisti. L’esodo però non è ancora finito. Pagotto dopo oltre due mesi viene spedito al campo di Sluzk, in Bielorussia, ma con lui parte anche il resto della squadra e tanti altri prigionieri. In breve, la leggenda dell’imbattuta formazione di ‘Quelli di Cernauti’ si sposta attraverso l’Europa, e per altri tre mesi le partite proseguono incessanti e senza sconfitte. A Sluzk arrivano anche le ragazze ebree che avevano cominciato a tifare per gli italiani fin dai tempi della Bucovina, sebbene allora, secondo le parole dello stesso Pagotto, fossero più simili a dei ‘fantasmi’ per le precarie condizioni fisiche e la denutrizione. Il pubblico così cresce a dismisura per ognuna delle partite della squadra italiana, che riesce a organizzare un vero e proprio ‘torneo dei lager’, vincendo 18 partite consecutive e superando la stessa formazione composta dai militari russi con il rotondo punteggio di 6-2. A vedere le partite ci sono ormai migliaia di persone, in un crescendo di entusiasmo pazzesco, e c’è spazio anche per un inedito ‘derby’ contro un’altra squadra italiana molto forte, quella di Lembertow, rimasta imbattuta per ben 33 incontri prima di cedere il passo a ‘Quelli di Cernauti’.
Pian piano però, i vari campi e lager chiudono uno dopo l’altro, e così i prigionieri, che costituivano il vociante pubblico della squadra italiana, tornano a casa. Anche Rino Pagotto prende, con i suoi compagni, la via per tornare in Italia. Basta lager, basta tifosi denutriti, basta urla a squarciagola per dimenticare l’orrore della guerra e dei morti. Ora, dopo avere ritrovato la famiglia e il figlio che non ha mai visto, troverà ad attenderlo un’altra squadra, un altro prato, uno stadio vero. Comincia il campionato...
PS: vorrei poter rendere omaggio a chi ha realizzato questa splendida intervista in quel lontano inverno del 1945. So solo le sue iniziali: A. B. Grazie lo stesso, è stato veramente bellissimo...
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