A me piacciono i tipi duri, e Charles Barkley è uno di questi. Uno di quelli che sa essere ‘grande’ sempre, che cadono in piedi, anche se le sue ‘cadute’ e i suoi infortuni lo hanno portato al ritiro nel 2000 alla ‘tenera età’ di 37 anni.
Philadelphia 76ers, Phoenix Suns, Houston Rockets, Sir Charles è sempre stato protagonista, sempre con il ghigno famelico di chi non ha mai vinto nulla, e mai vincerà, perché questo è stato il suo destino: quello di mai raggiungere l’agognato ‘anello’ del trionfo NBA, disputando una sola finale, persa ovviamente, contro i magici Chicago Bulls di Michael Jordan, l’eroe positivo, quello che tutto trasforma in oro. Quello che insomma io non sopporto. E anche per questo mi sono subito schierato dalla parte di Barkley, sebbene tra i due non vi sia mai stata incompatibilità ma anzi, una profonda amicizia.
Ma perché, mi chiederete voi, parlo di Charles Barkley? Ne parlo perché ieri sera l’ho visto ospite alla trasmissione PTI (Pardon the Interruption) su ESPN. Una fugace quanto simpatica apparizione, per parlare un po’ dei playoff NBA in corso di svolgimento ("Orlando batterà i Celtics, per i Lakers sarà dura con Houston", più un breve commento su LeBron), poco tempo dopo avere scontato la pena di tre giorni di detenzione subita per essere stato beccato ‘ubriaco’ alla guida di un’auto nei pressi di Phoenix la notte di Capodanno. Fermato da una pattuglia perché aveva attraversato con il rosso un semaforo, Barkley avrebbe rifiutato il test del palloncino.
E così il campione è finito in galera, come spesso capita negli Stati Uniti, giustamente, dove non si guarda in faccia a nessuno. A me però questo ‘perdente’ (si fa per dire) piace, e continua a piacere, a dispetto della sua guida in stato di ebbrezza, perché sono sicuro che ancora una volta si rialzerà. Prima della prossima ricaduta, e della prossima ripresa. Ave, Sir Charles...