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L'articolo de "Il Giornale" sulla visita del premier |
Due mesi abbondanti di ritardo. La
Lombardia e il popolo lombardo (con tutte le persone provenienti da altre regioni e altre nazioni che questa terra ha accolto) non devono
interessare molto al presidente del consiglio dei ministri,
Giuseppe Conte. Era infatti il 20 febbraio quando arrivò da
Codogno la notizia del primo contagiato, l'inizio di quella
situazione che lo stesso Conte aveva definito 'sotto controllo'. Subito dopo l'inizio della strage, complici i disservizi di uno Stato che ha avocato centralisticamente la
direzione del contrasto al
Coronavirus, senza peraltro riuscire a contrastarlo.
Mai prima d'ora, guerre escluse, l'Italia, e una parte d'Italia in particolare, era stata talmente travolta da un disastro naturale. Bisogna risalire al terremoto di
Messina per trovare un numero di morti superiore. I disastri del Vajont, del Friuli, di Avellino e del Belice insieme non fanno le vittime della Lombardia messe insieme. Ma,
evidentemente, per il premier è stato più comodo attaccare il governo che regge da anni la gestione del territorio più importante e sviluppato d'Italia, sicuramente un
boccone politico ghiotto per chi tifa da quella parte della barricata. Perché mai farsi vedere nel momento del bisogno? Meglio girare alla larga dal contagio e dai morti
trasportati dai camion dell'esercito per essere cremati senza nemmeno avere avuto il conforto dei parenti. Più logico farsi vedere in dirittura d'arrivo, dopo avere messo
bene in chiaro che lui, il superministro, l'Avvocato del Popolo, con il popolo anche stavolta non ci ha avuto nulla a che fare, lontano, nella sua reggia romana, perso fra
rassicurazioni non mantenute e l'ennesima task force creata per dissertare di decisioni che, nel migliore dei casi, possono essere semplicemente inutili, ma forse
potrebbero anche risultare dannose.
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L'articolo pubblicato dal quotidiano "Libero" |