Avevo appena finito di scrivere il 'coccodrillo' per Dave Greenfield che arriva la notizia della morte di Florian Schneider, uno dei fondatori del leggendario gruppo dei
Kraftwerk, cui aveva dato il via negli anni '70 assieme all'amico Ralf Hutter.
Erano stati loro a dare peso e sostanza alla musica elettronica che poi, mischiata alle sonorità di fine decennio, avrebbe dato il via ai tanti gruppi capostipite
della new-wave. Chi abbia avuto modo di ascoltare i loro primissimi lavori però, avrà sentito qualcosa di diverso, ai limiti dell'assurdo, una musica quasi 'rumorale',
assimilabile per certi versi al 'sound' del primo Franco Battiato.
Il loro maggior pregio, avere creato uno stile che rimane unico ancora oggi, un freddo decadentismo composto di immagini teutoniche di gusto retrò e figure robotiche
di regime, il tutto sull'onda di un ritmo disumanizzante.
Il loro difetto, essere sempre uguali a se stessi durante i propri concerti, tanto da risultare, alla lunga, monotoni.
Una curiosità: fra le loro diverse esibizioni cui ho avuto la possibilità di assistere, ricordo quella del 1990, fuori da qualsiasi tour 'ufficiale', svoltasi alla Casa del
Popolo di Grassina, in provincia di Firenze. Alla fine, in un contesto fatto di tavolini da bar con vecchietti che giocavano a briscola e un gruppetto di sedie malmesse
davanti a un palco che, sarà forse frutto di un ricordo maldestro, mi pare fosse di legno, io e il mio caro amico Mario avemmo l'occasione di avvicinarli. Chiesi loro a
quale musica si ispirassero e mi risposero, fra il nostro stupore, di avere tratto spunto dalla musica tribale africana. Nel mentre, un tipo in evidente stato di alterazione, mi
chiese se fossi un 'Cugino dei Kraftwerk'. Alla fine gli feci un autografo.