Una posa sensuale di Maria Frau in una foto Getty |
Quella della Frau (nel film è la 'paesana' Gilda) è una bellezza pulita e mediterranea, così distante da quelle odierne, tutte tatuaggi, sederi al vento e 'selfie' a culo di gallina.
Il film diretto da Edoardo Anton, in oltre, è ambientato in un ignoto paesino montano, suppongo del Veneto o del Trentino, avendo ascoltato alcune rarissime battute in dialetto, in un dialogo altrimenti in purissimo italiano.
Successivamente, un biglietto in cui si cita il villaggio di Chiusa Valbona, fa pensare che la trama si svolga sulle Dolomiti, e che il confine di cui si parla, ovviamente, sia quello austriaco. Più avanti si cita il Rifugio della Forcella, che esiste veramente ed è situato nellle Alpi Sarentine, in provincia di Bolzano.
Una scelta, quella di una ambientazione nordica, che fa balzare subito all'occhio come oggi, al contrario, il Settentrione sia stato completamente dimenticato dai 'geni' dell'arte cinematografica nazionale, come se le Alpi, Venezia, Trieste, per non parlare di Milano, fossero immuni al fascino di una qualsiasi sceneggiatura.
Persino un mediocre telefilm con Giuliano Gemma, "Caccia al ladro d'autore", in questi minuti contemporaneo a "Il lupo della frontiera" (il primo è su Rai1, il secondo su Rete4), ma girato 34 anni più tardi, sceglie di collocare la propria trama nella città della laguna e, cosa quasi commovente, riesce a fare parlare gli attori con accento veneto, un dialetto (ma forse una lingua) nei confronti della quale, ormai da anni, il mondo 'culturale' italiano, che vede il proprio baricentro ben fissato in Meridione, ha deciso di condurre una guerra a base di indifferenza, se non di vera e propria ostilità.
E allora mi immergo negli occhi grandi, scuri e sassaresi della bella Maria, eroina oscura e ignota ai più (dopo una manciata di film scomparve dalle scene) e applaudo un film che pochi conoscono, ma che sono felice di avere riscoperto.