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giovedì 3 marzo 2022

Anna Netrebko smaschera l'ipocrisia del sindaco Sala

Il post di Anna Netrebko su Instagram
La famosa soprano russa, Anna Netrebko, ha smascherato la 'brutta figura' del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che aveva chiesto una presa di posizione ufficiale da parte dell'altrettanto famoso direttore d'orchestra russo, Valerij Abisalovič Gergiev, contro Vladimir Putin, per poi, di comune accordo con il Teatro Piermarini, dargli il benservito e impedirgli la direzione della "Dama di picche" di Pëtr Ilič Čajkovskij.
E' stata la stessa Netrebko, con un colpo da maestro che vale un acuto scaligero, a mettere in imbarazzo il 'primo cittadino' e l'intera struttura scaligera, con un post sul proprio profilo Instagram.
A chi aveva alluso a una sua indisposizione come motivo della sua mancata presenza a Milano, la soprano ha risposto: "Non è vero. Sto benissimo, ma non vengo lo stesso" ("Healthy, but NOT coming!"). Un'evidente presa di posizione dopo il 'caso Gergiev', sebbene la Netrebko si sia più volte dichiarata contro la guerra.
Pochi giorni fa la Netrebko aveva inoltre chiarito di "non essere un politico", ma anche che "non è giusto costringere gli artisti a esprimere pubblicamente le proprie opinioni politiche e a denunciare la propria terra di origine".
Forse non è un caso che, in calce al proprio profilo Instagram, l'artista russa abbia pubblicato il motto: "Always remember, who you are and from were you are!" (trad. "Ricordati sempre chi sei e da dove vieni").

domenica 27 febbraio 2022

Le minacce del sindaco Sala a Gergiev, la replica di Sgarbi: "Sono assurde"

Valerij Gergiev non potrà lavorare per le sue idee (foto "Il Fatto")
La vergognosa serie di minacce proferite dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala (e non solo), al grande direttore d'orchestra russo, Valerij Gergiev, con l'obbligo di prendere posizione e 'abiurare' il proprio presidente Vladimir Putin, pena la perdita del lavoro al Piermarini (in pratica il Teatro alla Scala), ha sortito la protesta di numerosi intellettuali, anche se in pochi hanno avuto il coraggio di alzare la voce, in questi tempi di 'pensiero unico'.
Fra questi, Vittorio Sgarbi, da sempre abituato a essere una 'voce fuori dal coro': "L'intimidazione nei confronti del direttore d’orchestra Gergiev da parte della Carnegie Hall di New York e della Filarmonica di Monaco, e ora anche della Scala di Milano ha il sapore di una odiosa vendetta. E' una cosa sconcertante, inverosimile, grottesca, ed è esattamente lo stesso che rimproverano a Putin".
Sgarbi ha così parlato durante un'intervista rilasciata all'ADNKronos, proseguendo: "La cultura non può essere usata come un'arma di ricatto, perché di questo si tratta, di un ricatto. E' come far pagare a Pirandello le colpe di Mussolini. Colpire la cultura è odioso". Peraltro, sottolinea il critico d'arte, "Gergiev non ha fatto l'elogio di nulla, non ha fatto dichiarazioni, è amico di Putin, non è che per suonare deve pronunciarsi contro Putin, è letteralmente assurdo".
Sgarbi cita poi altri esempi nella storia: "Nessuno ha mai chiesto a Feltrinelli di non essere dalla parte di Fidel Castro", spiega. E ancora, "ben diverso era stato l'atteggiamento adottato con un altro grande direttore d’orchestra, Wilhelm Furtwängler, che aveva diretto vari concerti a vantaggio del regime nazista. Nel febbraio 1938 - ricorda il deputato - diresse la Filarmonica di Berlino per la Gioventù Hitleriana, e, nello stesso anno, l'opera "I maestri cantori di Norimberga" di Richard Wagner per il compleanno di Adolf Hitler. I suoi concerti erano anche trasmessi alla radio per sollevare il morale delle truppe". Dopo la guerra, "si giustificò dicendo che aveva cercato di proteggere la cultura tedesca - conclude Sgarbi -, eppure Furtwängler fu chiamato a dirigere nuovamente in pubblico, in Italia, appena terminata la seconda guerra mondiale: e proprio il Teatro alla Scala di Milano mise in scena L'Anello del Nibelungo sotto la sua direzione". (fonte ADNKronos)

sabato 26 febbraio 2022

La 'democrazia' del sindaco di Milano: o il maestro Gergiev ripudia la propria patria o perderà il lavoro

Un brutto titolo per "Il Giornale": "Il Maestro di Putin"
Da italiano, e milanese, mi vergogno profondamente per le frasi proferite dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e l'aut aut intimidatorio e illiberale che ha proferito verso Valerij Abisalovič Gergiev, direttore d'orchestra russo, uno dei più grandi al mondo, l'obbligo di condannare il proprio presidente, Vladimir Putin, divenuto, nel giro di un paio di giorni, 'criminale di guerra', 'mostro' e 'dittatore', altrimenti non potrà più esercitare la propria arte a Milano.
Se Sala, noto abitudinario di pose fotografiche accanto a 'trapper' afromaghrebini, spacciatori e feccia varia che ammorba le nostre periferie, voleva fare uno spot nei confronti della democrazia, evidentemente non ci è riuscito. Ribadendo quei legami con quel mondo della Sinistra che, pare chiaro, il senso del 'tappare la bocca' al dissenso lo culla dentro nell'anima.
Del resto la vicenda della guerra in Ucraina ci è stata raccontata secondo un unico punto di vista, quello artefatto di un mondo occidentale sempre più malato, quello stesso regime che ha deciso di etichettare Donald Trump come presunto 'guerrafondaio' e di elevare a 'santo' un personaggio come Joe Biden, che ha gettato nel panico la politica estera mondiale.
A questo punto sorgono legittimi dubbi su come ci siano state 'vendute' molte altre guerre e molti altri presunti 'criminali di guerra' (per non parlare del trattamento mediatico di questi due anni di pandemia), contemporaneamente coprendo di gloria altri macellai che hanno avuto il solo merito di finire dalla parte dei vincitori.
Il maestro russo Gergiev, in sostanza, deve abiurare la propria patria e prendere le distanze dall’invasione russa dell’Ucraina (peraltro motivata chiaramente da Putin, con spiegazioni anche accettabili) o dovrà rinunciare a dirigere "La dama di picche", che ha debuttato al Teatro Piermarini mercoledì sera.
Dopo la perdita del lavoro per coloro che hanno deciso di non vaccinarsi si arriverà così, ed era facile prevederlo, alla perdita del lavoro per chi decide di pensarla diversamente da quello che è il clima dominante, il pensiero unito del potere di turno.
Per chi altri varrà questa linea di condotta? Solo per i cittadini russi? Un cittadino italiano potrà liberamente sostenere che Putin altro non abbia fatto se non sostenere le decine di migliaia di cittadini di etnia russa minacciati prima e bombardati poi dalle milizie ucraine, molte delle quali di ispirazione nazista (vedi il Battaglione Azov), o rischierà di essere messo ai margini della società civile?
Se un artista deve subire la gogna, questo varrà a maggior ragione per un lavoratore pubblico, un libero professionista, un professore universitario o di scuola?
Quanto deve preoccuparci l'atteggiamento folle del 'democratico' primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha deciso di bloccare i conti correnti dei camionisti in rivolta contro l'obbligo di indossare le mascherine all'interno dei propri automezzi?
Si tratta di ampie chiari segnali di dove le 'presunte' democrazie occidentali stiano dirigendo la propria prua, ovvero verso una illiberalità e demagogia orwelliana che, di certo, nulla ha da invidiare al presunto regime dell'improvvisato 'criminale' Putin.

mercoledì 12 gennaio 2022

Le violenze di Capodanno e "La Repubblica", ovvero la verità a proprio uso e consumo

Le violenze di Capodanno raccontate da "La Repubblica", il giornale dei 'giusti' per antonomasia, per quelli con il portafoglio a destra e la coscienza a sinistra, o per coloro che comunque, anche mentre si sbocconcella la brioche ripiena d'albicocca del mattino, vale sempre la pena emettere una sentenza in più, meglio se dalla parte di dove tira il vento, che poi è sempre la stessa.
Mi sono sfuggite, per fortuna, le edizioni milanesi immediatamente successive alla vicenda, ma già sfogliando quelle a partire dal 7 gennaio ci si può fare una bella idea di come sia stata raccontata questa ennesima barbarie che nulla è se non l'ennesima dimostrazione di come la presenza degli stranieri a Milano, in particolare nordafricani (quelli che, a frotte, continuano a invadere il nostro Paese con il beneplacito del ministro Luciana Lamorgese e l'amore incondizionato delle ONG), abbia inevitabilmente modificato il tessuto socio-razziale della città, distruggendolo dall'interno, creando un guano umano che sta rendendo sempre più irrespirabile la nostra città.
7 gennaio: l'articolo di Luca De Vito, intitolato "Si indaga sulla notte brava del 'branco'", poi ripreso a pagina 7, in oltre mezza pagina di cronaca riesce nell'impresa di non citare mai (ripeto 'mai') l'origine etnica del bestiame umano coinvolto, pur costretto a fare un riferimento alla notte di Colonia del 31 gennaio 2015 (sbagliando peraltro la data, spostata avanti di un anno e inducendo all'errore altri colleghi, che evidentemente ritengono il giornale scalfariano l'unica bocca della verità), e anche in questo caso, pur avendo un rigore da calciare a porta sguarnita, senza ricordare in alcun modo che quelle violenze furono opera di arabi (diciamolo pure: islamici).
8 gennaio: è ancora De Vito a curare l'approfondimento di pagina 7. Stavolta si punta sulle interviste. Ovviamente spadroneggiano le donne del PD. Alla Destra (infame, sempre) si lasciano poche righe per Riccardo De Corato, precedute da una 'quasi nota': "Per l'opposizione è invece l'occasione per attaccare la giunta guidata da Sala". In poche parole: fate attenzione a ciò che leggete, perché son tutte balle, saranno solo frasi strumentali". E se Diana De Marchi (che conosco e stimo) esprime un concetto condivisibile, per quanto senza affrontare di petto la questione, è Silvia Roggiani, anche lei del PD (e ci mancherebbe, stiamo parlando de "La Repubblica") a regalare la vera 'perla', tirando in ballo la 'cultura patriarcale della nostra società'. Sparata che, giustamente, ha fatto venire i brividi all'italiano medio e alla Lega, che ne ha immediatamente denunciato la stortura, innescando poi la polemica 'social' che ha portato la stessa Roggiani ad assumere l'atteggiamento da 'vittima' causa il consueto e inevitabile (e deprecabile) insulto per opera del web.
Smarrito fortunatamente il giornale del 9 gennaio (no, scusate, non perdo tempo per provare a cercare questo quotidiano), si passa al 10 gennaio: come nel miglior film di Carlo Verdone, la parola passa al prete, al secolo il cappellano del Beccaria, Don Claudio Burgio, in un pezzo firmato da Sandro De Riccardis. Il titolo l'è (citando Jannacci): "Le violenze in Duomo derivano anche dall'esclusione sociale". Direi che si può evitare di andare oltre e saltare l'articolo, sebbene una risata convulsa giunga istintiva al pensiero reale del prete di "Un sacco bello".
11 gennaio: ecco, finalmente, forse grazie all'arrivo di Ilaria Carra a fianco di Luca De Vito (i due firmano insieme il pezzo), si riesce a leggere un articolo che potrebbe anche non arrivare da "La Repubblica". Le dinamiche delle aggressioni vengono ricostruite con attenzione, c'è perfino una bella infografica che ne riporta i dettagli, e viene usato il termine "italiani di seconda generazione" per identificare quelli che, certamente in maniera più sommaria, vengono da me definiti 'maghrebini e nordafricani'. Frase comunque non errata, visto che io mi riferisco alla loro origine etnica, e non nazionale.
12 gennaio: arriva, in bella apertura, una volta riordinate le idee, l'intervista al sindaco Giuseppe 'Beppe' Sala, l'uomo sotto accusa, che sa però di poter giocare 'in casa', sulla carta del giornale compiacente. L'intervista, a cura di Sandro Riccardis e Massimo Pisa, viene titolata "Sala e le violenze di Capodanno: 'Sulla sicurezza faremo di più'". Strimgiamci a coorte, queste cose non possono accadere, mi scuso, faremo di più. Frasi che si potevano scrivere anche senza andare a Palazzo Marino sprecando benzina. Non si capisce il passaggio (che passa, mi si scusi la ripetizione, sotto silenzio, essendo a metà intervista), in cui il Primo Cittadino dice che "gran parte del 'branco' arriva da fuori Milano". Cosa intende? Pioltello, Monza e Brianza, Sesto San Giovanni, raccogliendo l'assist del recente video girato con il 'milanese imbruttito', che considera 'giargianna' tutti coloro non nati all'interno delle mura spagnole? Boh, non si capisce. I due autori dell'articolo ci deliziano invece con i dettagli delle indagini: sugli indagati ci viene raccontato che hanno tra i 15 e i 21 anni, 10 sono italiani... ma di questi cinque sono di origine nordafricana... ah, ecco, e otto sono invece stranieri. Quindi, riassumendo, su 18 ben 13 sono stranieri, maghrebini o giù di lì. Chiudo con l'articolo, e non poteva mancare nemmeno quello, di analisi sociale, a firma Brunella Giovara, che si inoltra in stile 'inviata di guerra' (e forse questo è pure vero e dovrebbe fare pensare) nei mega palazzoni popolari di San Siro e via Imbonati dove questo pattume vive e sopravvive.
Chiudiamo con una nota a margine: in arabo esiste anche una espressione apposita per definire quanto avvenuto in piazza del Duomo (e durante il Capodanno di Colonia), giusto per ribadire quanto eventi del genere siano connaturati alla cultura sociale di questi popoli. Si chiama "taharrush gamea" e, citando Wikipedia, "è un'espressione in lingua araba che significa letteralmente “molestia collettiva”. Con questo nome si designa un'aggressione sessuale di massa ai danni di una donna, che può anche sfociare nello stupro".

mercoledì 30 dicembre 2020

Milano, 10 cm di neve mandano in crisi Beppe Sala

La neve ghiacciata fuori della stazione di Milano Rogoredo
Milano il giorno dopo l'ampiamente prevista, e nemmeno troppo intensa, nevicata. Se ne parlava da giorni, e la notte fioccò. Tutto faceva preludere a un facile contenimento dei danni anche perché, malgrado l'intensità della caduta fosse discreta, alla mattina non si contavano più 10 centimetri di neve. Invece la città si è svegliata imbiancata, il che non sarebbe un male, se la cosa si fosse limitata ai tetti delle case, meno bene in mezzo alle strade e lungo i marciapiedi, in particolare i camminatoi che portavano a metropolitane e altri mezzi pubblici. Solo lo sforzo pietoso dei portinai ha impedito che la città diventasse una Caporetto per le gambe e le braccia dei milanesi.
Detto del primo giorno, pur nello sfacelo più totale dell''organizzazione' (presunta) della macchina messa in campo dalla giunta di Beppe Sala, il giorno dopo ci si sarebbe dovuti aspettare il totale dissolvimento delle ultimi propaggini 'bianche', anche perché poi, di neve, non ne è caduta più.
E invece, nulla, i meneghini hanno dovuto ancora compiere miracoli di equilibrismo per reggersi in piedi, mentre il sindaco rispondeva piccato alle naturali critiche dell'opposizione, in particolare alle parole di Matteo Salvini. Le foto che allego sono quelle delle lastre di ghiaccio all'uscita della stazione di Rogoredo, non proprio un luogo 'secondario' per la città, ma un'area che unisce una stazione ferroviaria e del metro. Due poveri anziani cercano, uno vicino all'altro, di aiutarsi con un carrello della spesa per arrivare alla fermata dell'autobus. Gli altri passanti piantano bene i piedi in terra per non scivolare in un paesaggio da renne e cani da slitta. Invece è Milano, e l'unico pupazzo di neve, da prendere a grosse pallate in faccia, dovrebbe essere quello con stampato il faccione del sindaco.

Milano Rogoredo: una lastra ghiacciata, dalla nevicata sono passate due notti...

domenica 3 maggio 2020

Fase 2, Milano violentata dalle piste ciclabili

L'apertura de "Il Sole 24 Ore" del 30 aprile
Mancano poche ore alla cosiddetta Fase 2, e le città italiane si preparano a quello che sarà un probabile 'assalto alla diligenza' da parte degli oltre quattro milioni di italiani che torneranno al lavoro, che dovranno affannarsi, rigorosamente distanziati, su autobus, tram e metropolitane nella vana speranza di non giungere in ritardo al proprio primo giorno di lavoro.
Il sindaco Giuseppe Sala è una persona intelligente, ma prigioniera di quella demagogia che ha spinto a votarlo chi l'ha scelto come 'primo cittadino' di Milano. Quell'universo fatto di Sinistra finto progressista, cattocomunisti residenti nel centro cittadino, radical chic vari, universitari mantenuti, qualche genuina anima semplice, il tutto mischiato a rabbrividenti rappresentanti dei Centri Sociali, che dal sindaco 'pinko' (espressione usata in maniera dileggiante nei confronti del radicalismo chic dal commentatore televisivo canadese Don Cherry) hanno evidentemente pensato (senza venire smentiti) di poter ottenere spazio e protezione.
E così, a fronte di una situazione drammatica, che dovrebbe vedere nell'uso dell'automobile il sistema più sicuro per evitare contatti e contagi con il virus, ecco che Sala, e il suo fido assessore Marco Granelli, hanno deciso di proseguire nella loro scellerata politica delle due ruote, costruendo piste ciclabili a ripetizione, con un ritmo tanto folle quanto folle sia l'idea che una bicicletta possa sostituire in città un mezzo a motore, degna soltanto di chi abbia nella Cina il proprio punto di riferimento.
Oltre 20 chilometri di piste ciclabili costruite sotto il nostro naso, approfittando della quarantena cui siamo stati condannati, stravolgeranno e violenteranno la mobilità milanese. Tanto più vista la più che ridotta disponibilità di trasporto dei mezzi pubblici.
Si prevedono così lunghe file in attesa, strade congestionate, litigi e risse per salire per primi sul mezzo pubblico in arrivo, una guerra fra poveri di cui il sindaco e i suoi accoliti non hanno evidentemente tenuto conto, collusi con quella ristretta enclave di fortunati colpevoli di averlo votato, con attico in Centro e colf in arrivo dalla periferia, cui forse avranno il buon cuore di concedere un quarto d'ora di ritardo. Per questa volta.

Un altro articolo sul tema da "Il Sole 24 Ore" del 30 aprile

Un articolo de "Il Giornale" del 3 maggio

Ancora un articolo del 3 maggio, sempre da "Il Giornale"

giovedì 30 gennaio 2020

Seconda guerra fredda, Italia fuori dai giochi

Maurizio Molinari (foto Bordignon)
C'erano anche Ferruccio De Bortoli e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, alla presentazione dell'ultimo libro di Maurizio Molinari, dal titolo "Assedio all'Occidente. Leader, Strategie e Pericoli della Seconda Guerra Fredda", ultima di 21 fatiche pubblicate dal direttore de La Stampa, che ha come tema le vicende internazionali che stanno contrassegnando l'epoca successiva alla fine del duopolio Stati Uniti-Unione Sovietica, una caduta dei muri che erroneamente aveva fatto credere a una prossima pacificazione mondiale, e che invece è stata il prodromo di nuove inevitabili divisioni. La Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping procedono nel tentativo di trasformare l'Europa in un terreno di conquiste, politiche ed economiche, al fine di allontanare gli Stati Uniti dai loro alleati. Gli interventi russi in Georgia e Crimea, le imponenti infrastrutture cinesi a cavallo dell'Eurasia e il mosaico del nuovo 'sentiment' sovranista descrivono i contorni di una nuova Europa, mentre le testate nucleari vengono sostituite dalle armi digitali e informatiche.
Lo stesso De Bortoli, al mio microfono, sottolinea: "Questo libro ci spiega quanto sia complesso il quadro geopolitico e di come le democrazie liberali, fra cui la nostra, siano sottoposte a un assedio sia da parte cinese, che da parte russa. Con armi diverse, ma con tante sfide, soprattutto sul versante delle tecnologie, sul tema delle libertà personali e dei diritti umani, che disegnano un quadro inquietante". Prosegue De Bortoli: "Certo, non siamo nella guerra fredda con un pericolo nucleare, siamo in una fase in cui dovremmo aprire gli occhi, ma noi italiani siamo molto ripiegati su noi stessi, come dimostra la vicenda libica nel Mediterraneo, in cui dovremmo avere un ruolo diverso, e purtroppo questo non accade". Una guerra fredda diversa nel clima: "I missili di Cuba per fortuna non ci sono più. Mi domando cosa sarebbe accaduto se in quegli anni ci fossero stati i social network. Forse non sarebbe stato possibile realizzare trattative sotterranee. Mi chiedo però dove siano finite quelle armi nucleari, soprattutto con il disfacimento del blocco sovietico, che poi è un tema che si ripropone con l'Irak, che vuole la sua arma nucleare e che ha conseguito l'arricchimento dell'uranio, rappresentando una minaccia ulteriore per Israele, per un quadro generale spezzettato e complesso". (foto di Massimiliano Bordignon)

sabato 8 luglio 2017

I media anti Casa Pound si dimenticano dei centri sociali

I centri sociali attaccano la polizia fuori da Palazzo Marino
Dunque, facciamo un po' di chiarezza. Casa Pound pochi giorni fa ha compiuto una legittima, per quanto un po' irruenta, protesta a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano (ovviamente enfatizzata dai media schierati a sinistra e subito definita 'blitz' con toni da guerra di trincea). L'obiettivo era il sindaco Giuseppe Sala, ex commissario unico di EXPO, ormai da diverso tempo alle prese con vicende poco chiare legate all'Esposizione Universale del 2015.
Fuori, nel frattempo, si schierano le solite 'squadre' leoncavalline di picchiatori vari, la cui presenza i soliti media (si ascolti il fantasioso resoconto di Telereporter) cercano di fare passare quasi come casuale e dovuta solo a un incontro con alcuni consiglieri (a cui ci si era presentati in un centinaio, ma vabbeh...). In pochi secondi partono le minacce, i tentativi di aggressione ai ragazzi di destra (che in realtà stavano tranquillissimi all'interno di Palazzo Marino) e alla polizia. In pratica si tratta della stessa gente che okkupa case impunemente senza che nessuno la sbatta in galera, e che difende clandestini e spacciatori, protetta e spalleggiata dalla giunta rossa di turno.
Questo sabato l'ineffabile ANPI (le famose migliaia di partigiani di 105 anni ancora in vita) organizza una 'riflessione' (tze...) sul tema “L’escalation dei neofascismi e il ruolo delle Istituzioni", si ribadisce, 'dopo l'irruzione di esponenti di Casa Pound in Consiglio Comunale', evento a cui prenderà parte, ovviamente, il sindaco Sala. Per la serie, se la suoneranno e se la canteranno, con tanto di presenza del Comitato permanente antifascista contro il terrorismo per la difesa dell’ordine repubblicano (yuppie!). Intanto, i picchiatori e i violenti dei centri sociali continueranno impunemente ad agire indisturbati nel nome di una loro presunta idea di democrazia di comodo. George Orwell non avrebbe mai osato immaginare tanto...