Le violenze di Capodanno raccontate da "La Repubblica", il giornale dei 'giusti' per antonomasia, per quelli con il portafoglio a destra e la coscienza a sinistra, o per coloro che comunque, anche mentre si sbocconcella la brioche ripiena d'albicocca del mattino, vale sempre la pena emettere una sentenza in più, meglio se dalla parte di dove tira il vento, che poi è sempre la stessa.
Mi sono sfuggite, per fortuna, le edizioni milanesi immediatamente successive alla vicenda, ma già sfogliando quelle a partire dal 7 gennaio ci si può fare una bella idea di come sia stata raccontata questa ennesima barbarie che nulla è se non l'ennesima dimostrazione di come la presenza degli stranieri a Milano, in particolare nordafricani (quelli che, a frotte, continuano a invadere il nostro Paese con il beneplacito del ministro Luciana Lamorgese e l'amore incondizionato delle ONG), abbia inevitabilmente modificato il tessuto socio-razziale della città, distruggendolo dall'interno, creando un guano umano che sta rendendo sempre più irrespirabile la nostra città.
7 gennaio: l'articolo di Luca De Vito, intitolato "Si indaga sulla notte brava del 'branco'", poi ripreso a pagina 7, in oltre mezza pagina di cronaca riesce nell'impresa di non citare mai (ripeto 'mai') l'origine etnica del bestiame umano coinvolto, pur costretto a fare un riferimento alla notte di Colonia del 31 gennaio 2015 (sbagliando peraltro la data, spostata avanti di un anno e inducendo all'errore altri colleghi, che evidentemente ritengono il giornale scalfariano l'unica bocca della verità), e anche in questo caso, pur avendo un rigore da calciare a porta sguarnita, senza ricordare in alcun modo che quelle violenze furono opera di arabi (diciamolo pure: islamici).
8 gennaio: è ancora De Vito a curare l'approfondimento di pagina 7. Stavolta si punta sulle interviste. Ovviamente spadroneggiano le donne del PD. Alla Destra (infame, sempre) si lasciano poche righe per Riccardo De Corato, precedute da una 'quasi nota': "Per l'opposizione è invece l'occasione per attaccare la giunta guidata da Sala". In poche parole: fate attenzione a ciò che leggete, perché son tutte balle, saranno solo frasi strumentali". E se Diana De Marchi (che conosco e stimo) esprime un concetto condivisibile, per quanto senza affrontare di petto la questione, è Silvia Roggiani, anche lei del PD (e ci mancherebbe, stiamo parlando de "La Repubblica") a regalare la vera 'perla', tirando in ballo la 'cultura patriarcale della nostra società'. Sparata che, giustamente, ha fatto venire i brividi all'italiano medio e alla Lega, che ne ha immediatamente denunciato la stortura, innescando poi la polemica 'social' che ha portato la stessa Roggiani ad assumere l'atteggiamento da 'vittima' causa il consueto e inevitabile (e deprecabile) insulto per opera del web.
Smarrito fortunatamente il giornale del 9 gennaio (no, scusate, non perdo tempo per provare a cercare questo quotidiano), si passa al 10 gennaio: come nel miglior film di Carlo Verdone, la parola passa al prete, al secolo il cappellano del Beccaria, Don Claudio Burgio, in un pezzo firmato da Sandro De Riccardis. Il titolo l'è (citando Jannacci): "Le violenze in Duomo derivano anche dall'esclusione sociale". Direi che si può evitare di andare oltre e saltare l'articolo, sebbene una risata convulsa giunga istintiva al pensiero reale del prete di "Un sacco bello".
11 gennaio: ecco, finalmente, forse grazie all'arrivo di Ilaria Carra a fianco di Luca De Vito (i due firmano insieme il pezzo), si riesce a leggere un articolo che potrebbe anche non arrivare da "La Repubblica". Le dinamiche delle aggressioni vengono ricostruite con attenzione, c'è perfino una bella infografica che ne riporta i dettagli, e viene usato il termine "italiani di seconda generazione" per identificare quelli che, certamente in maniera più sommaria, vengono da me definiti 'maghrebini e nordafricani'. Frase comunque non errata, visto che io mi riferisco alla loro origine etnica, e non nazionale.
12 gennaio: arriva, in bella apertura, una volta riordinate le idee, l'intervista al sindaco Giuseppe 'Beppe' Sala, l'uomo sotto accusa, che sa però di poter giocare 'in casa', sulla carta del giornale compiacente. L'intervista, a cura di Sandro Riccardis e Massimo Pisa, viene titolata "Sala e le violenze di Capodanno: 'Sulla sicurezza faremo di più'". Strimgiamci a coorte, queste cose non possono accadere, mi scuso, faremo di più. Frasi che si potevano scrivere anche senza andare a Palazzo Marino sprecando benzina. Non si capisce il passaggio (che passa, mi si scusi la ripetizione, sotto silenzio, essendo a metà intervista), in cui il Primo Cittadino dice che "gran parte del 'branco' arriva da fuori Milano". Cosa intende? Pioltello, Monza e Brianza, Sesto San Giovanni, raccogliendo l'assist del recente video girato con il 'milanese imbruttito', che considera 'giargianna' tutti coloro non nati all'interno delle mura spagnole? Boh, non si capisce. I due autori dell'articolo ci deliziano invece con i dettagli delle indagini: sugli indagati ci viene raccontato che hanno tra i 15 e i 21 anni, 10 sono italiani... ma di questi cinque sono di origine nordafricana... ah, ecco, e otto sono invece stranieri. Quindi, riassumendo, su 18 ben 13 sono stranieri, maghrebini o giù di lì. Chiudo con l'articolo, e non poteva mancare nemmeno quello, di analisi sociale, a firma Brunella Giovara, che si inoltra in stile 'inviata di guerra' (e forse questo è pure vero e dovrebbe fare pensare) nei mega palazzoni popolari di San Siro e via Imbonati dove questo pattume vive e sopravvive.
Chiudiamo con una nota a margine: in arabo esiste anche una espressione apposita per definire quanto avvenuto in piazza del Duomo (e durante il Capodanno di Colonia), giusto per ribadire quanto eventi del genere siano connaturati alla cultura sociale di questi popoli. Si chiama "taharrush gamea" e, citando Wikipedia, "è un'espressione in lingua araba che significa letteralmente “molestia collettiva”. Con questo nome si designa un'aggressione sessuale di massa ai danni di una donna, che può anche sfociare nello stupro".