martedì 3 agosto 2021

Rosemary Fairweather, lo shoegaze e un viaggio accanto al 'paki'

Meraviglie della musica shoegaze e di una delle sue ultime epigoni, Rosemary Fairweather, giovane torontina dal nome melodico che, con voce angelica e sognante, ha accompagnto il mio ultimo viaggio in treno da Udine a Milano. E da lì, nell'affollata metrò cittadina, a dispetto del Covid, mentre seduto al mio fianco c'era il classico 'paki' d'ordinanza, che di questa musica e della sua bellezza non capirà mai un emerito cazzo.
"Chemicals" è sicuramente uno dei pezzi forti di Rosemary, assieme a "Feel Better", mentre io sì, 'feelio molto bettero' viaggiando sulle note di questo rock allegro, ma pungente, abile mix fra neopsichedelia e post-wave con una spruzzata di elettronica.
Viaggio finalmente 'on the moon', sopra la testa del cialtroname che mi circonda, e corro attraverso il tempo. Fino a quando un altro brano riparte, la voce suadente di Rosemary (grande fan degli XTC, e si sente, anche se io ci aggiungerei i Prefab Sprout) mi conduce per mano nello spazio, zigzagando come in una pista da sci fra i ricordi disseminati lungo l'arco degli anni, le facce conosciute e quelle baciate, mai dimenticate, piastrelle di un mosaico lunare che, passo dopo passo, ha visto snodarsi la mia vita in musica, fra labbra calde assaporate e quelle solo desiderate.
Mentre il 'paki' è ancora al mio fianco e mi osserva stranito con la coda dell'occhio muovere ritmicamente gambe e piedi come se stessi suonando la batteria. Ma è islamico, e che cazzo ne capisce dello 'shoegaze', lui.
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