L'ultimo 'ban' nasce da un semplice commento a un post |
Già ergastolano del mondo Twitter (squalifica a vita, come nemmeno il peggiore dei terroristi islamici) per avere piazzato la bandiera del Congo belga sotto il faccione di Romelo Lukaku, sono arrivato alla seconda 'incarcerazione' di un mese su Facebook dopo l'ennesima accusa (e condanna) di 'incitamento all'odio'.
Lo ammetto, io 'odio' un gran numero di persone, che ritengo effettivamente dei grandissimi stronzi, ma non ho torto mai il cosiddetto capello ad alcuno, sebbene se lo fosse meritato.
Diciamo piuttosto che il 'social' del 'giudeo' Mark Zuckerberg (ma si potrà scrivere 'giudeo'? L'ho scritto apposta per farvi spalancare gli occhioni... adesso penserete che mi sia iscritto ai Nazisti dell'Illinois...) predilige il 'pensiero unico', quello secondo il quale siamo un mondo di eguali e di persone con i medesimi diritti, zingari compresi.
Al di là di queste chiacchiere da bar, quello che mi colpisce è di come in nessuno dei miei commenti si sia potuto rilevare un qualsiasi commento veramente razzista o di odio.
Continuo a ritenere legittimo l'utilizzo della parola 'negro', che fa parte del vocabolario della lingua italiana, per definire quell'etnia (razza, gruppo, genere) dalla melanina scura, una parola che da sempre è stata utilizzata per definire i... negri, appunto, e vorrei che qualcuno mi spiegasse da quando questa sia stata messa fuorilegge e, soprattutto, con quale decreto.
Rivendico, su un 'social', la possibilità di 'mandare a quel paese' (qualsiasi) in un impeto di rabbia, intere categorie di persone: gli zingari e i rodigini, i piemontesi e i turchi, i francesi e i tirolesi, i terroni o i mongoli, sia quelli che lo sono di razza che quelli che lo divengano per malattia. Cattivo e crudele. A volte volgare. Perché no? Sui 'social' possiamo e dobbiamo poterci esprimere, nel bene e nel male, nel più assoluto cinismo, sprezzo e disprezzo del prossimo. Qualsiasi limitazione è volgare ipocrisia e limitazione del pensiero.
Negare questo e queste libertà è rinnegare l'utilizzo stesso di Facebook, che nasce come 'bacheca' personale e di colloquio con i propri amici, che bene sanno quali siano i modi di dire personali e di chi scrive. Solo loro potranno accettare o negare i nostri comportamenti mediatici, darci o toglierci l'amicizia come segno di stima o di rimprovero.
Nel momento in cui perderemo tutti i nostri amici 'online' forse allora potremmo porci qualche domanda sui nostri comportamenti 'social', non certo per qualche inconsapevole, mai o mal spiegato presunto sballato comportamento non consono a leggi non scritte di Facebook.
Io posso scrivere la parola 'negro' mille volte e uscire a mangiare a pranzo e cena con 'neri' (va meglio?) che stimi tantissimo, senza per questo dovermi accodare al belante gregge di chi subisce una neolingua imposta dall'alto, peraltro non ufficialmente ma attraverso lo strisciante concetto da ritenersi acquisito del 'non sta bene' o del 'non si fa'.
Purtroppo, invece, per il piacere di continuare a dialogare con tanti amici e postare le foto che mi diverto a scattare, fra poche ore, scontata la 'galera social', sarò costretto a postare immagini di gattini, parlare dei pericoli attuali che corre il clima e di come sia bello accogliere quei bipedi chiamati migranti.
Dovrò adeguarmi all'ipocrisia imperante di un mondo ripugnante e in sfacelo, ostaggio di pochi padroni della mente che usano come scudi umani queste genti che dal nulla arrivano e nulla portano con sé.
Così come nel caso del vaccino anti-Covid, chino ancora una volta la testa, consapevole di quanto questo Coronavirus del pensiero sia nato già parecchi anni fa, e che di certo non basteranno un paio di punture per debellarlo.